L’ospedale è finito
al pronto soccorso

«Si moltiplicano i campanelli d’allarme» commentava un tale in canottiera, sbracato a gambe larghe sulla poltrona in una delle tante vignette geniali di Altan. E aggiungeva: «Qualcuno vada a rispondere: io sto guardando la partita».

Ebbene, se vi riconoscete nel personaggio di cui sopra (e a tutti, prima o poi, è capitato di indossare i suoi panni bisunti) sappiate che, qualunque partita sia in corso, è il caso consideriate l’opportunità di andare di rispondere personalmente. Il fatto che il Valduce di Como - istituzione nata nel 1853 - diffonda, tramite l’amministratrice Mariella Enoc, un appello «ai cittadini privati di Como e provincia, ai propri utenti e familiari, alle aziende, alle istituzioni, alla società civile, ai club di servizio, alle assicurazioni, alle banche, alle fondazioni» perché si risolvano ad aiutare finanziariamente l’ospedale - in particolare perché sia possibile intervenire sul Pronto soccorso - è un campanello d’allarme assordante oltre che senza precedenti. Spiega la direzione dell’ospedale: «La crisi economica e finanziaria che si è abbattuta sull’Italia ha ridotto in notevole misura il sostegno e l’attenzione che l’amministrazione statale volgeva in passato verso gli ospedali religiosi classificati». Dice ancora il Valduce che, per far fronte a questa contrazione di risorse, «la direzione ha operato scelte difficili e coraggiose». Come quella, ricordiamo, di aver ridotto gli stipendi dei dipendenti dopo un accordo faticosamente raggiunto con i sindacati.

La conclusione è che, oggi, città e provincia, in tutte le articolazioni sociali - individuali e collettive, private e pubbliche - sono invitate a «offrire liberamente donazioni per aiutare l’ospedale a fornire servizi sempre migliori e prestazioni al passo con i tempi e assicurare le cure più aggiornate».

Mariella Enoc e i dirigenti dell’ospedale non lo dichiarano esplicitamente ma, secondo logica, l’alternativa è che l’ospedale, pur continuando nella sua attività, non possa migliorare i servizi, non riesca a tenere il passo con i tempi e non sia in grado di assicurare cure aggiornate. Questo mette in seria discussione le fondamenta di un’istituzione sanitaria che, come abbiamo visto, opera a Como da 160 anni.

Ognuno è libero di avere opinioni fortemente critiche rispetto alla gestione della sanità pubblica e privata in Italia (e sull’interazione tra le due), nonché sull’impegno della Regione in questo settore e sulle interferenze politiche che, nel corso degli anni, hanno raggiunto livelli grotteschi. Fatte salve tutte queste riserve, rimane la sostanza: un’istituzione della città chiede aiuto, se non per evitare di sprofondare, quanto meno per garantire il livello di assistenza che da essa ci si aspetta.

Potremmo continuare a lungo a recriminare su uno Stato avido di risorse e manifestamente incapace di gestirle. Attingendo alla cronaca passata e presente, potremmo anche sostenere a ragion veduta che l’amministrazione del Valduce non è certo esente da critiche. Ma l’idea che sia in gioco il livello dell’offerta sanitaria a Como e in provincia dovrebbe essere un fattore sufficiente ad attirare l’attenzione della comunità comasca perché esprima una risposta adeguata al problema. Non al buio, si intende, non a fondo perduto, ma con tutte le garanzie che l’impegno di capitali provenienti dalla società civile comporta e pretendendo che la si smetta di trastullarsi con la nostra salute.

Tornando al buffo omino della vignetta di Altan, vorremmo dire che mentre suona il campanello d’allarme noi, a differenza sua, la partita non la stiamo semplicemente guardando: la stiamo giocando.

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