Da queste parti le sfide elettorali tra destra e sinistra sono sempre caratterizzate dall’altissimo tasso culturale, dall’assoluta assenza di demagogia e da una profonda visione del futuro. Quindi, ci si accapiglia su fascismo e antifascismo. Roba fresca. E se poi a questo giro ci aggiungiamo pure che siamo alla vigilia del centenario della marcia su Roma, lo spettacolo è assicurato.
Figurarsi se il mondo dell’editoria si faceva scappare un’occasione del genere, visto che è dalla caduta del governo che i giornali dedicano pagine e pagine sulle note vicende dei cosiddetti eredi del duce e dei partigiani e visto che continuano a uscire libri sull’argomento, due proprio in questi giorni, che finiscono con l’intersecarsi inevitabilmente con gli ultimi scampoli di campagna elettorale.
Il primo è firmato dall’inviato-editorialista del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo - “Mussolini il capobanda” – che elenca tutti i motivi per i quali noi italiani, che non coltiviamo la virtù della memoria, ma il vizio della dimenticanza, dovremmo vergognarci del fascismo, perché era costituito da una banda di delinquenti e perché Mussolini era un uomo cattivo, talmente cattivo da far rinchiudere in manicomio suo figlio e la donna che l’aveva messo al mondo.
Ora, la tesi del saggio, da un punto di vista strettamente storiografico, è ridicola. Ma che significa dire che Mussolini era cattivo? Che vuol dire? Da quando in qua nell’affrontare un tema storico di assoluta rilevanza come il fascismo – la storia del Novecento è segnata da due eventi: il fascismo e il comunismo – ci si appoggia ad argomenti moralisteggianti? E perché, Churchill invece era buono? E come faceva a essere buono se era un razzista fatto e finito e considerava gli indiani – e i neri - dei subumani? E Stalin era buono o cattivo? Forse era cattivo perché ha sterminato milioni di kulaki, ma forse era buono perché ha sconfitto i nazisti, bastonandoli da Stalingrado fino a Berlino. E Truman dovrebbe essere buono a prescindere, visto che gli americani sono quelli che ci hanno salvato la ghirba nella seconda guerra mondiale e un po’ pure nella prima, però era anche molto, ma molto cattivo, dato che non ha fatto un plissé mentre nuclearizzava milioni di civili innocenti in Giappone. Che confusione, signora mia…
La tesi è talmente risibile che è opera di uno sprovveduto – e Cazzullo è tutto fuorché uno sprovveduto – oppure è figlia di un’astuta operazione di marketing che punta a confermare nelle sue piccole certezze embricate la casalinga di Voghera e il prepensionato di Tortona. E cioè che la storia, compresa quella patria, sia semplice - quelli là erano i cattivi, questi qua erano i buoni - e buonanotte all’analisi di un periodo complesso, tragico e contraddittorio e di un fenomeno straordinariamente moderno che uno storico acutissimo come Angelo Tasca – uno dei fondatori del Pci, mica Veltroni… – aveva analizzato nelle sue radici ideologiche, nella base sociale e nei motivi del consenso già negli anni Trenta, senza scorciatoie e senza propaganda. E senza moralismi. Altro che Mussolini cattivo.
Molto più centrato, invece, un nuovo saggio firmato dal politologo Alessandro Campi e da un altro inviato del Corriere, Sergio Rizzo – “L’ombra lunga del fascismo” - che si domanda correttamente come mai dopo un secolo siamo ancora impantanati in argomentazioni retoriche, scomuniche incrociate, tic mentali e verbali che impaludano l’Italia dentro un perenne scontro ideologico senza più alcun legame con le realtà e che si concretizza a ogni elezione in uno stantio sventolare di bandierine e di profezie sull’onda nera che ci sommergerà.
Premesso che questo pericolo non esiste - il fascismo è nato nel 1919 ed è morto nel 1945, punto e fine – e che i sedicenti neofascisti dei giorni nostri sono dei poveracci, delle macchiette, degli scappati di casa, dei pagliacci da social, lo spauracchio mussoliniano è stato e, purtroppo, è ancora funzionale a una campagna di mera delegittimazione politica. Visto che le forze di sinistra sono da sempre molto eterogenee, divise e litigiose, ogni volta che si va al voto l’unico espediente per tenerle unite è affidarsi a una specie di mito fondante, un eterno Cln, una specie di collante emotivo grazie al quale si ulula alla luna che il fascismo è ancora vivo. Anzi, che il fascismo è eterno. Anzi, che il fascismo è scolpito dentro ogni italiano come il peccato originale e che, quindi, eterna deve essere la resistenza al Male.
E infatti in tutta la nostra storia repubblicana si è impresso via via questo marchio d’infamia a personaggi che non erano di sinistra, ma che con il fascismo non c’entravano assolutamente nulla: Scelba, Pacciardi, Fanfani - vi ricordate il fanfascismo? - Craxi, Berlusconi, Renzi addirittura. Per non parlare di De Gaulle e della Thatcher, perché i nostri partigiani in servizio effettivo permanente sono riusciti a dare dei fascisti pure a quelli – vi rendete conto? De Gaulle e la Thatcher fascisti! vi rendete conto? – coprendosi regolarmente di ridicolo di fronte al mondo. E ora tocca alla Meloni.
Ma se è questa la prima parte in commedia, neanche la seconda ha voglia di essere da meno. Visto che pure qui, considerata la pochezza di contenuti culturali e di visione strategica in campo economico e politico, in questi anni non si è fatto altro che titillare temi emozionali, retorici e demagogici “para-nostalgici” quali il patriottismo, l’autarchia italica, l’avversione all’Europa, alla moneta unica e agli Stati Uniti, oltre a vere e proprie scemenze quali la sostituzione etnica, il complotto plutocratico, il “collateralismo” con regimi dittatoriali quali Russia e Cina o autocratici come l’Ungheria e altra fuffa del genere. Con tanto di accusa alla sinistra di essere ancora comunista, non capendo che dipingere Letta nei panni di Togliatti fa ridere quasi quanto la Meloni in quelli di Mussolini.
Che campagna elettorale grottesca. Non come ai bei tempi. Quando c’era lui, caro lei…
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