Se fosse vero, come diceva un vecchio spot televisivo, che per vincere ci vuole una buona partenza, sul cantiere del lungolago si dovrebbe alzare bandiera bianca. Perché dal giorno del primo colpo di piccone è stato tutto un “go e stop” che ha portato in sette anni (l’opera è partita nel 2008 e il traguardo iniziale era fissato nel 2011) alle forti incertezze attuali.
Errori su errori, totale mancanza di lungimiranza e di prospettiva hanno trasformato il progetto di difesa dalle esondazioni e, soprattutto, di miglioramento della passeggiata a lago in un incubo che turba le notti di Como. Adesso siamo a una sorta di redde rationem, di snodo. Che riguarda il destino del lungolago e con lui dell’intera città perché è persino inutile stare qui a farla lunga sul valore di quell’area per il nostro Pil. Ma la partita più in salita di quella che la Juventus si accinge a disputare con il Barcellona di Messi, si intreccia a triplo filo con le prospettive del governo di centrosinistra della città e a quintuplo filo con quelle del sindaco, Mario Lucini.
Tutti sanno che la sciagurata gestione del progetto da parte della precedente amministrazione di centrodestra (il muro sul lago è stato solo la punta dell’iceberg) è stato un jolly che, giustamente, l’attuale primo cittadino ha giocato per tutta la campagna elettorale. Lucini era consapevole della gatta che si sarebbe trovato da pelare con l’inevitabile promessa di uscire dal pasticcio del cantiere in caso di vittoria elettorale. Pochi più di lui, che dai banchi dell’opposizione aveva messo in risalto le scelleratezze nel procedere con il cantiere da parte dei suoi predecessori, conoscevano la pratica. Il sindaco, insomma, era più che certo che la risorsa elettorale sarebbe diventata, il giorno dopo l’insediamento a palazzo Cernezzi, una rovente patata amministrativa. Forsela più difficile nella storia recente di una città che pure (vedi alla voce Ticosa) in questo senso si è fatta mancare poco.
Ora però l’intervento, doveroso, dell’autorità Anticorruzione, rischia di fare precipitare tutto. Chi raccoglie le confidenze del primo cittadino, riferisce di una persona molto preoccupata per la piega che stanno prendendo gli eventi, specie nel caso in cui le conseguenze dell’indagione degli uomini di Raffaele Cantone dovessero esserequelle di un ulteriore rinvio della ripresa dei lavori o peggio.
C’è da comprendere lo stato d’animo di Lucini che però, in fondo ora ha poco da perdere. E questo può anche essere un vantaggio. In questi casi si sa che la miglior difesa è l’attacco. Chiudersi a riccio, come sembra fare il Comune, non serve perché da tutelare c’è poco. È il momento di chiarire, anche davanti all’Anticorruzione, tutte le responsabilità: quelle politiche e quelle tecniche, del passato e del presente. Solo così si potrà sveltire la pratica. Ma è anche indispensabile che tutta la città faccia gioco di squadra squadra attorno al suo rappresentante eletto più autorevole. Mandare in malora il lungolago per dare lo sfratto a Lucini significa segare l’albero su cui tutti siamo seduti. Senza una passeggiata a lago degna di questo nome, Como è senza futuro, destinata a diventare una città priva di identità.
Un’altra Ticosa in quella posizione, è impensabile. Perciò superiamo le polemiche, le rivalse, le ripicche, le questioni poco importanti (tutte lo sono di fronte alla posta in gioco) e andiamo all’attacco per raggiungere l’obiettivo. A Como come a Roma. Chissà che per vincere non sia sufficiente anche una buona ripartenza.
[email protected]@angelini_
© RIPRODUZIONE RISERVATA