“Non fate l’onda” è un’esortazione che non sente più da tempo a Como. E forse non si udirà ancora per un pezzo. Al di là della contingenza, che domani forse pioverà e che un luglio così caldo non si era mai visto negli ultimi 200 anni (appuntamento al 2016 per i 201), da Obama in giù concordano quasi tutti (salvo gli ultras delle multinazionali delle energie non rinnovabili): la Terra ha la febbre sempre più alta. E noi trovandoci in questo pianeta in attesa magari di essere trasferiti nel gemello appena scoperto, dobbiamo farcene una ragione.
Sarà sempre più facile che rassegnarsi a quanto sta accadendo ormai da oltre sette anni sul nostro povero lungolago. Le due cose, lo avrete capito, si tengono eccome.
Perché se ci rifacciamo al discorso di cui sopra sui mutamenti climatici ma anche alle nostre misere esperienze terra a terra (chi ha qualche anno ricorderà certi mesi di maggio comaschi in cui cominciava a venir giù acqua l’1 e la piantava il 31 tanto da affibbiare alla nostra città un soprannome che richiamava un imperatore romano), si comprende come tutta questa sciagurata violenza poteva essere risparmiata a uno dei punti più suggestivi e strategici per il turismo).
Tanto per finirla di girarci intorno, quello che si sente e si legge in questi giorni ci conferma che le paratie serviranno si e no una volta ogni svariati lustri. Gli studi sul clima degli ultimi dieci anni e i modelli scientifici per i prossimi non lasciano dubbi. La temperatura continuerà ad alzarsi, anche in caso di radicali interventi umani sulle emissioni che faranno sentire i loro effetti molto più in là. Pioverà più raramente anche se con maggiore intensità. Ci sarà meno acqua anche per il Po che, come sta avvenendo ora, ogni volta che ha sete si beve il lago di Como, il cui livello medio perciò, salvo situazioni eccezionali, rimarrà tranquillo. E allora? Allora anche il muro se fosse rimasto, si sarebbe trasformato nella fortezza del Deserto dei Tartari di Buzzati: fermo lì ad aspettare un nemico liquido e inesistente.
Se è inutile piangere sul latte versato, figurati sull’acqua neppure sparpagliata . Certo, però pensarci prima.... Perché qui bisogna tirare in ballo la politica, magari non quella più recente che può solo (e forse lo sta facendo) ingarbugliare ancora di più la matassa, ma la precedente, che ha fatto la scelta fatale delle paratie con l’occhio allo specchietto retrovisore anziché guardare avanti. Vero che c’era stato il disastro della Valtellina con le carcasse degli animali che galleggiavano davanti a Villa Geno e l’acqua del lago arrivata nella fresca sede del nuovo info point di piazza Duomo. Però quello era il passato, pur allarmante. Che, nella fattispecie e a prescindere dalle faccende comasche, non deve più tornare. Il futuro è un’altra cosa e lo stiamo provando sulla nostra sudata pelle.
Sarebbe bastato guardare avanti allora, senza farsi ingolosire dai fondi della legge derivata proprio dalla catastrofe valtellinese per evitare, al di là delle nefandezze perpetrate in seguito, di arrivare all’oggi. Senza certezze su un doman con il nostro lago di nuovo aperto alla contemplazione dei tanti ammiratori.
In Svizzera, spesso citata come modello, fanno esattamente così. Prima di varare una grande opera valutano l’impatto futuro e non gli scenari trascorsi.
E il tutto condito con la leggenda metropolita di un progetto per sistemare il lungolago senza paratie redatto e poi, si narra, scomparso nei meandri di palazzo Cernezzi. Un lungo giallo con tanti colpevoli e ancor di più vittime: il lago, i comaschi e i turisti. Speriamo nel lieto fine.
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