Quando, otto anni fa, si prospettava l’avvio dei lavori per il progetto delle paratie, il nostro giornale decise di dare voce ai lettori per una sorta di referendum. Le telefonate, le email e i fax (sì, in quel periodo si usavano ancora) furono molto più numerosi del previsto. Otto voci su dieci si dichiararono contrarie all’opera. Vi fu chi, buon profeta, prefigurò tempi infiniti di realizzazione e uno spaventoso aumento dei costi. Altri, per fortuna a torto, espressero preoccupazione per la conservazione degli immobili vicini al cantiere. Ma l’argomento più comune dei no era la convinzione che la città fosse di fronte a un’opera inutile. Ed è un argomento che il tempo e tutto ciò che è accaduto dopo, dallo scandalo del muro al blitz ordinato dalla Procura, non ha sbiadito.
Per quale ragione ostinarsi se la serie storica delle esondazioni indica che il fenomeno è in fase regressiva? Nessuno lo ha spiegato con chiarezza. Siamo di fronte a un’opera finanziata con i fondi della Valtellina (1987) e ideata circa 25 anni fa. Da allora a oggi tutto è cambiato, il mondo si è riunito tre volte per discutere dei cambiamenti climatici ma sembra che solo da queste parti tutto continua a procedere come se nulla fosse. L’Autorità di bacino comanda, la Regione recepisce e il Comune si allinea. Per tanti anni, di fronte a tanta unanimità istituzionale, i comaschi hanno osservato il cantiere con preoccupazione sì, mantenendo però fiducia che in un modo o nell’altro si stesse andando nella direzione giusta.
Ora qualcosa è cambiato e le domande la cosiddetta società civile ha cominciato a farle ad alta voce. Come usciremo da questa vicenda? In che tempi? Perché procedere lì dove c’è un’opera che non giova alla città? Perché si cestinano a priori soluzioni alternative? Il forum del nostro giornale, la scorsa settimana, è servito ad aprire il dibattito e da quel giorno il clima è cambiato perché è come se un clic provvidenziale fosse giunto ad accendere i microfoni della città proprio quando quest’ultima aveva necessità di parlare, di arrivare alle orecchie di chi ha la responsabilità di decidere e procede sordo a ogni richiamo del buon senso e della ragionevolezza. Como vuole essere ascoltata, non possiamo rassegnarci a subire, ancora una volta, quel che viene deciso altrove. La politica, quella migliore, sia protagonista in questa vicenda. Non possiamo accettare che l’ultima parola sia in capo alla Regione, meno che mai ai soli dirigenti di quest’ultima (il presidente Maroni, all’estero, non ha partecipato all’incontro con il sindaco Lucini). Ma davvero contiamo così poco da non poter pretendere nemmeno di avere una voce in capitolo? Una volta – ha raccontato il professor Giulio Casati al forum del giornale – c’era il senatore. Quando in città c’era un problema serio, si sapeva a chi rivolgersi. E oggi? I parlamentari, forse anche in virtù dell’attuale meccanismo elettorale, non hanno avuto, perlomeno sino ad ora e sulla questione lungolago, un rapporto organico e continuativo con il territorio. Questa, anche per loro, è l’occasione di cambiare approccio raccogliendo, in primo luogo, le indicazioni dei comaschi. Bisogna uscire dal vicolo cieco in cui siamo finiti. E non si può perdere altro tempo.
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