Ma Como non può
arrendersi al trash

Siamo il Paese dei divieti. In Italia non c’è sindaco che resista alla tentazione di una bella ordinanza capace di risolvere i problemi del mondo. Così, a Varese, qualche anno fa fu firmata un’ordinanza con multe iperboliche per il mozzicone gettato in strada. E Como non è stata da meno: ricordate i 50 euro di multa per chi sulle panchine osava inclinare la schiena oltre i 90 gradi della posizione composta? Stessa sanzione, in viale Ceccarini a Riccione, per chi passeggia in bikini e ciabatte o, nel caso degli uomini, a petto nudo. E ancora, scorrendo la cronaca balneare, si trovano divieti contro i bermuda, le infradito, i coni gelato (altissimo rischio di macchiare la strada), l’esibizione di piercing e tatuaggi, la pizza al trancio e i pantaloni a vita bassa.

Il record, in questo campo, spetta però al borgo calabrese di Sellia dove il primo cittadino, che di professione fa il medico ma ha un futuro sicuro nel campo delle furbate mediatiche, ha dato in pasta ai giornali la prima ordinanza al mondo in cui si “si fa divieto di morire” con tanto di sanzioni immaginiamo addebitabili agli eredi.

Insomma, lo si è capito, questo genere di provvedimenti il più delle volte fa ridere. Spesso perché la sanzione è smisuratamente eccessiva rispetto al comportamento sbagliato (giusto punire chi butta un mozzicone per strada ma ridicolo chiedergli un milione di milione di euro). Oppure perché le ordinanze dei sindaci sono talmente velleitarie da risultare comiche: tocca ai vigili urbani combattere l’orribile moda dei pantaloni a vita bassa che andava di moda tra gli adolescenti un paio di anni fa? Spetta alla polizia locale dare l’inseguimento alle turiste per stabilire la differenza tra una ciabatta infradito e un sandalo griffato?

Ciò detto, un problema c’è se la foto scattata da Enrico Levrini, un comasco davvero innamorato della città e della sua storia, ha aperto da alcuni giorni un dibattito molto vivace sullo stato in cui versa la zona tra il Tempio Voltiano e il Monumento ai Caduti. Un dibattito che si è sviluppato sui social network e che il giornale ha deciso di raccogliere e rilanciare. L’area, in sintesi, si trasforma nel fine settimana in un circo dove eleganza e decoro scadono ai minimi termini (lasciamo perdere in questa sede i problemi di sicurezza che pure pare non siano indifferenti). Nulla di male a stendersi sul prato a prendere il sole e a giocare a pallone, ovviamente. Come non lo è, in linea di principio, nemmeno l’idea di farsi un bel barbecue in riva al lago o di girare per strada mezzi nudi (o senza nulla addosso come le due turiste straniere la scorsa settimana tra le bancarelle di Menaggio). Ma è da bacchettoni sostenere che la zona, quella zona, non può essere utilizzata come un lido o come un parco attrezzato per le grigliate in compagnia? Sì, certo, è bello che il lungolago ogni fine settimana sia meta frequentata da persone di ogni genere e fa sorridere la pretesa che ci possa essere lo stesso clima che si incontra a Villa d’Este, ma è allo stesso modo poco ragionevole pensare che in virtù del principio “la vita prima di tutto” si accetti ogni genere di conseguenza. Se il trash deve essere il punto di riferimento si abbia piuttosto il coraggio di sostenere che possiamo mandare alla malora l’area monumentale a lago e realizzare lì dove i nostri antenati facevano il bagno (prima della realizzazione del lido a Villa Geno), una grande spiaggia urbana. Così nessuno si scandalizzerà se qualcuno si mette in mutande e mette i piedi nel lago davanti al Tempio Voltiano.

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