Al di là delle responsabilità, del destino cinico e baro, della burocrazia supplizio e alibi, chiudere in un agosto con temperature africane la piscina all’aperto più fruibile della convalle, il lido di Villa Olmo, è un po’ come interrompere la Città dei Balocchi il 24 dicembre.
Ma è anche, pur nella casualità degli eventi, un altro indizio della costante difficoltà di Como a rapportarsi con il turismo. Ci sarebbe materia per le coincidenze e gli indizi: il lido chiuso appunto, il lungolago ritrovato e già oscurato assieme alla più bella delle nostre passeggiate, sempre a Villa Olmo, la mancanza di servizi igienici, un decoro urbano sempre sulla linea di galleggiamento della decenza, l’ufficio turistico più a portata di visitatore destinato a ballare ancora solo per quest’estate, per tacer della stazione San Giovanni che di magagna ne ha sempre qualcuna, nonostante le toppe piazzate di tanto in tanto. Il tutto nell’attesa che l’assessore Simona Rossotti dopo la sua affermazione sull’incompatibilità dell’aperitivo con il ritiro della monnezza degna dei 92 minuti di applausi tributati al giudizio di Fantozzi sulla corazzata Potëmkin, riesca nell’ardua impresa.
C’entra sicuramente anche il passaggio discontinuo tra due amministrazioni. Quella nuova ancora in fase di rodaggio e l’altra in comprensibile disarmo. Ma sullo sfondo rimane l’interrogativo ancora senza risposta: Como vuole essere città turistica? Una domanda che non riguarda solo la politica e l’amministrazione. Ma tutta la società con le sue componenti. Perché volenti o nolenti, lo dimostra in maniera più che plastica quest’estate rovente, i turisti continuano ad arrivare e sono sempre di più. E ci sarebbe da chiedersi il perché visto il “cahier de doleance” di cui sopra. Sarà per l’effetto Clooney super propellente per l’immagine del lago, ma anche per un bellezza di luoghi talmente mozzafiato da svolgere la funzione di tappeto sotto il quale nascondere tutta la polvere delle cose che non vanno.
C’è sicuramente un pezzo di Como che accoglie con gioia queste persone e che, in maniera spontanea (forse anche troppo) si è già arrangiata, attrezzando alloggi in guisa di B&B e case vacanza con il rischio di snaturare il centro storico. Ma anche chi vive con fastidio queste turbe vocianti in un Babele di lingue che guardano, passano ma lasciano poco nelle casse.
Però se non ci fossero potrebbe anche essere peggio. E il rischio di perdere sia coloro che hanno il braccino corto (e pazienza) ma anche chi (è c’è) sciala potrebbe essere meno peregrino di quanto possa apparire oggi. Perché va bene essere di moda, però si sa che queste tendenze non sono eterne.
Insomma sarebbe il caso di venirne a una. Di decidere davvero se nella sfera di cristallo di Como c’è il turismo e quale turismo, altra questione non proprio secondaria. Ragionare sull’effettiva convenienza per la città e il territorio, sulle strutture, sulle infrastrutture e sulle iniziative necessarie. Un dibattito le cui fila possono essere tirate dalla politica, dalla nuova amministrazione che sta avviando un quinquennio decisivo per le prospettive future di Como. Ma devono essere coinvolti anche tutti gli altri soggetti che operano sul territorio. Un segnale importante è arrivato dal nuovo vertice di Confcommercio, con la guida di Giovanni Ciceri, che ha messo il turismo al centro dell’azione di una categoria non sempre e non tutta entusiasta del fenomeno. Bisogna muoversi in questa direzione. E rispondere alla domanda delle domande: Como vuole davvero essere una realtà turistica?
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