Ma quando Como
punterà su se stessa?

Tanta gente, un fiume di gente a spasso per il centro di Como a fare shopping, anche se i commercianti temono che il bilancio degli affari natalizi non tornerà neanche quest’anno ad essere quello ante-crisi. E poi tantissimi a giocare sul ghiaccio nella pista in piazza, e non soltanto bambini, o a curiosare tra le bancarelle dei mercatini, o ancora a visitare la mostra dei presepi in San Giacomo. E siamo in inverno.

D’estate è più o meno lo stesso, i turisti sono tanti e, nonostante si sia sempre pronti a dire, giustamente, che si può fare di più, loro, i turisti soprattutto stranieri, per fortuna non mollano, tornano e tornano ancora, magari non lesinando critiche e suggerimenti, ma comunque finendo sempre la frase con «Como e il lago sono meravigliosi». In primavera, in occasione delle vacanze pasquali succede più o meno lo stesso, la città si riempie di persone, turisti o locali escono di casa anche solo per fare un giro perché Como, comunque la si guardi è bella di natura. Monumenti, paesaggi, musei sono lì a farsi guardare. E allora? Allora perché si è sempre punto a capo a dire e dirsi che così non va, che bisogna fare rete, bisogna fare sistema per trasformare un giacimento, che c’è, in miniera sfruttata, che non c’è, con tanto di binari e carrellini zeppi di pietre preziose e pepite che escono grezze dalle caverne e si trasformano in gioielli e soldi? Paola Carlotti e Barbara Minghetti - analizzando ciò che il biblioteconomo-ricercatore Piero Innocenti diceva ieri su l’Ordine (e cioè che la cultura può trasformarsi in sviluppo, investimento, opportunità per città e Paesi) – se lo chiedono ancora. Loro però un’idea sul perché Como sia ancora una volta a chiedersi come far fruttare la cultura ce l’hanno. Entrambe, che con la cultura e gli eventi lavorano ogni giorno perché organizzano e seguono appuntamenti culturali e perché presiedono il teatro più importante della città, ritengono che a Como manca la rete tra soggetti diversi, pubblici e privati, e un nocchiero che indichi la rotta. Verrebbe da dire un capitano Achab, che può sembrare cattivo, ma che è invece tosto, rabbioso a tratti perché ha fame, non di pane ma di conquista. Disposto a vincere le tempeste in mare pur di battere Moby Dick. Il nocchiero è la voglia che, dicono Barbara Minghetti e Paola Carlotti, deve essere di tutti, grande e vera. Solo così si può sfruttare quello che la Natura e i comaschi di ogni epoca hanno costruito e continuano a costruire in città. Ma sfruttarla per cosa la ricchezza della città? Per creare economia, per far girare gli affari, lasciando un po’ da parte la spocchia che vuole la cultura capace di vivere di sospiri e d’aria. Non è così, sarebbe bello, ma se il pittore non vende i suoi quadri non vive con i soli colori, l’albergatore non può offrire vacanze da sogno riempiendo la cassa dei sorrisi e dei grazie dei turisti. Che meraviglia, sarebbe davvero un bel sogno vedere tutti sereni aprire i borsellini e pagare il pane e il caffè con un sorriso, ricevuto a propria volta da un altro. L’immagine è poetica e rilassa. Ahimè però c’è bisogno della stampella fatta con le ossa della balena bianca, proprio come quella che si costruì Achab. A Como serve la stampella per camminare dritti verso l’Expo con qualcosa da dire. Cos’hanno Mantova e Bergamo più di Como? Perché loro riescono a organizzare e a far fruttare la cultura? Bisogna assolutamente scoprirlo, certo, mica è facile. Ma se la presidente del teatro Sociale dice che ci si può provare bisogna crederle. Lei dice che era stato avviato un tavolo di discussione per Como capitale europea 2019, ma alle parole non sono seguiti i fatti. Salvatore Amura, presidente dell’Accademia Galli, disse che ci si può candidare almeno come città italiana della cultura. Si puà provare? Bisogna decidere e fare sintetizza Barbara Minghetti. n 

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