Muore il bambino, squilla il trombone. Fino a qualche giorno fa, i migranti erano una massa di criminali, di farabutti, di morti di fame, di terroristi mascherati pronti a infilarsi a Lampedusa per poi far saltare in aria il Colosseo e la Madonnina di Milano e brutti e sporchi e cattivi e negri e puzzoni che vengono qui a rubarci il lavoro a noi e a stuprare le nostre donne con i loro turbanti e i loro burqa e le loro cerbottane e le loro malattie contagiose e i loro cammelli e i loro datteri. E tutti lì - noi popolo bue e i nostri statisti da fiaschetteria – a berciare e sbraitare e ululare e scamiciare, che adesso basta e buttateli a mare e bombardate i barconi e sparate su chiunque fiati e respingeteli sul bagnasciuga e giù ruspe e picozze e fili spinati e vagoni piombati e marchi sulla braccia e lanciafiamme e dagli al magrebino.
Adesso, dopo la foto del bimbo morto, è partito il piagnisteo. E quel politico che si commuove e quell’altro che frigna come un vitello e quell’altro ancora con i lucciconi e il cuore spezzato e io ne prendo quattromila, no, io ne voglio diecimila e mai più un orrore del genere e la cultura dell’accoglienza e la carità dell’Europa cristiana e giù le mani dagli inermi, dagli umiliati e dagli offesi e quell’immagine, signora mia, quell’immagine che scuote le coscienze del mondo! E tutti lì - noi popolo bue e i nostri statisti quaquaraquà che vanno sempre dove tirano i sondaggi di un’opinione pubblica melmosa e senza spina dorsale, coadiuvati da noi immancabili pennivendoli di regime - a esibire profughe con il pancione e bambini in braccio e bambini con gli occhi cisposi e bambini col pigiamino e bambini in carrozzina. Sono quarantotto ore che si vedono più bambini in tv che in un anno di scuola d’infanzia e giù melassa e retorica e caramello e zucchero filato. Ogni servizio, una carie. Ogni foto, un Garrone.
Che buffoni che siamo. Tutti quanti. Ipocriti. Farisei. Filistei. Sepolcri imbiancati. Le tragedie esistono solo e soltanto quando ci fanno comodo, quando servono per sistemarci la coscienza, giocare alle anime candide e dare sempre la colpa a qualcun altro. Perché le morti dei bambini sono tutte uguali. Ma qualcuna è più uguale delle altre. Ogni giorno, ogni benedetto giorno che il buon Dio manda in terra, muoiono migliaia di bambini, la maggior parte di fame e violenza, ma su tutto questo si stende il nostro ecumenico e narcotizzante chissenefrega. Annegati a decine nel Mediterraneo? Uno sbadiglio. Trucidati assieme ai loro genitori dai tagliagole dell’Isis? Una grattata di panza. I duecento massacrati qualche anno fa a Beslan? E chi se li ricorda. Le migliaia vittime delle carestie o dei campi o delle fabbriche di palloni e scarpe nel terzo e quarto mondo? Uff, che palle, a che ora danno la partita?
Beh, perché questi qui non valgono nulla e a nulla sono serviti per smuovere le nostre cosiddette coscienze democratiche? Perché nessuna di queste morti ha meritato una foto? Perché non è stato fatto vedere nessuno di questi corpi? Che cosa sono, cadaveri di serie B? Cos’è, non lo sapevamo che queste cose succedono da sempre? Ci voleva il bimbo con la maglietta rossa, forse perché fa così rima con quello con il pigiama a righe? E poi, visto che tra i caduti ci sarebbero anche gli adulti, perché nessuno ha fatto vedere il corpo decapitato e appeso a testa in giù del custode di Palmira? Perché era vecchio? Perché portava gli occhiali? Non emozionava abbastanza? Non scaldava lo share?
E poi, chi lo decide se un bambino morto lo si può pubblicare o meno? Il gran giurì dei sommi sapienti della Repubblica degli ottimati? Il Tribunale di Pinocchio? La consorteria dei doppio-moralisti, secondo la quale se lo mette in pagina un giornalista non da salotto, un secondo dopo lo attaccano su per i piedi e razzista e squadrista e fascista e nazista e farabutto e iena e sciacallo e macchina del fango e se invece lo fa quello perbenino politically correct, allora è tutto un grattarsi la pera e fare faccine pensose perché, insomma, uno schiaffo alle nostre coscienze inaridite, un atto di coraggio contro l’ignavia e tanto bel solidarismo ideologico singhiozzante per la foto che fa il giro del mondo e accusa l’Occidente - che per statuto ha sempre torto, naturalmente - con tanto di dibattito sociologico sul futuro dell’informazione?
Niente come le mosse di queste ore della stragrande maggioranza dei politici europei - dei nostri scafessi, meglio non parlare - e della comunicazione globale, sempre serva dell’emotività e del conformismo, dimostrano la nostra inadeguatezza culturale, etica e addirittura fisica, lombrosiana, nella comprensione di un movimento migratorio biblico che solo un cialtrone al quadrato può pensare di risolvere con il patetico buonismo pulcioso dell’accogliamo tutti perché siamo tanto solidali e solo un cialtrone al cubo può pensare di impedire con ruspe, muri, bunker e altri grotteschi espedienti da fiera paesana.
C’è disperato bisogno di statisti, di persone serie, di gente che non piange e non si commuove a comando, ma riflette, sceglie, decide. Anche alla faccia di quello che pensa l’opinione pubblica. E che magari eviti di far cadere i governi nelle aree più calde del mondo, perché sono meglio cento secoli di dittatura piuttosto che un giorno di anarchia, e sappia che Aylan stava scappando dai criminali dell’Isis, creati dalla nostra ottusità e dal ridicolo mito delle primavere arabe.
E che non si dimentichi mai che gli esseri umani sono impermeabili a tutto, tutto ruminano, tutto digeriscono, tutto evacuano. Torri Gemelle, Columbine, Utoya, Atocha, Charlie Hebdo: qualche giorno di emozione, lumini e jesuischarlie e poi giù di nuovo a pensare agli affaracci nostri.
Lo aveva colto tempo fa un genio come Dostoevskij in un passo terribile di “Delitto e castigo”, giustamente ricordato da qualche collega più colto della media: “Hanno pianto un po’, poi si sono abituati. A tutto si abitua quel vigliacco che è l’uomo”.
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