Era diventato insopportabile e paradossale andare al Louvre e trovare il mondo in coda per vedere capolavori dell’arte italiana, a partire dalla “Gioconda”, e allo stesso tempo sentirsi ripetere che la top manager del museo parigino è un’italiana trentenne, Claudia Ferrazzi, costretta a scappare da un Paese, il nostro, che per troppo tempo ha dimenticato l’importanza della cultura e della meritocrazia.
Le nomine dei nuovi senatori a vita, effettuate ieri dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sono importanti perché danno final-nalmente un segnale
di controtendenza in un’Italia in cui i veri “Vandali”, come hanno ampiamente documentato Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo nell’omonimo libro, sono stati molto spesso gli stessi politici, che hanno fatto strame del patrimonio artistico e culturale nazionale e hanno emarginato, se non indotto alla fuga, tante tra le migliori menti del mondo accademico e culturale italiano.
Tra i nomi scelti da Napolitano, quello di Elena Cattaneo, scienziata cinquantenne dell’Università statale di Milano, appare il più “rivoluzionario”, ma in realtà è forse quello che più risponde al politicamente corretto, in un momento in cui il refrain “dare spazio ai giovani e alle donne” è diventato un punto fermo delle campagne elettorali. Con una differenza, però, significativa: rispetto ai tantissimi politicanti che in tutto lo Stivale si sono limitati a sbandierare il concetto nei comizi, il presidente della Repubblica ha fatto un gesto concreto.
Ma la forza dell’atto compiuto dall’inquilino del Quirinale sta nell’intero pacchetto di personalità selezionate. Nel fatto che provengano tutte da diversi ambiti della cultura e non, come spesso accaduto in passato, dal mondo politico-economico: un direttore d’orchestra come Claudio Abbado, un architetto come Renzo Piano e il fisico premio Nobel Carlo Rubbia.
Ora possiamo vergognarci un po’ meno. Sì, un po’ meno di tre anni fa, quando la crisi già mordeva, e il ministro Giulio Tremonti giustificava il fatto di aver iniziato a tagliare dalla cultura e dall’istruzione con questa frase: «Non è che la gente la cultura se la mangia». L’esatto contrario di quanto andava sostenendo Barack Obama, che all’Istituto americano di Fisica affermava la necessità di investire più che mai sulla ricerca e sulla creatività, le uniche “armi” in grado di salvarci dal baratro socioeconomico.
Obama, nel suo discorso, aveva preso esempio da un grande predecessore, Abraham Lincoln. Finalmente, ieri, anche Napolitano ha fatto lo stesso: come da lui medesimo dichiarato, nelle nomine dei senatori a vita, ha seguito i principi che avevano ispirato Luigi Einaudi. Erano tempi, quelli dell’immediato dopoguerra, in cui la politica ancora si abbeverava alla fonte della cultura, invece di evitarla, o peggio soffocarla. Ora, però, dal gesto simbolico del presidente deve discendere una presa di coscienza da parte di tutti: dobbiamo capire che la cultura nutre non solo lo spirito ma anche la pancia, che è un’industria che richiede investimenti e può dare risultati. Non è solo per svantaggi linguistici che siamo sommersi da film, romanzi e canzoni stranieri. È una questione di mentalità: non bisogna più aspettare i mecenati, bensì sostenere e anche vendere bene il genio italico.
© RIPRODUZIONE RISERVATA