E anche stavolta, quando è saltato fuori un cretino a sventolare una pistola in diretta tivù, la grande tragedia italiana si è trasformata nella solita buffonata. Marchio di fabbrica. Autobiografia della nazione. Ritratto di famiglia. Non essere mai capaci di restare seri per più di due giorni e far subito carne di porco anche dei temi più drammatici e sconvolgenti della vita delle persone. Materiale da cabaret, avanspettacolo, serraglio, lancio del gatto morto sul palco, suburra, bordello, cloaca, osteria.
La vicenda del ladro albanese ucciso da un pensionato in provincia di Milano ha offerto l’occasione alle nostre due grandi famiglie di offrire il peggio di sé. La destra - la caricatura della destra, la versione pagliaccesca della destra, il circolo degli ubriachi della destra, che nei paesi civilizzati è invece una cosa seria - si è fatta rappresentare da alcuni spassosi soggetti sui quali Lombroso avrebbe di certo imbastito un paio di dozzine di tesi di laurea. E pistole e fucili e reti elettrificate e gru e ruspe e bombardamenti dal cielo, dalla terra e dal mare su qualunque cosa si muova nel Mediterraneo e malattie infettive e scabbia e spagnola e lebbra e peste bubbonica e terroristi e islamisti e stragisti e razza bianca e razza ariana e razza Piave e dagli al negro e dagli al rom e dagli al ladro e tutto il resto di quel ciarpame polveroso, di quel retrobottega trombonesco degno di un film di Monicelli grazie al quale memorabili statisti emergenti cercano di vellicare le panze del popolo bue che non ce la fa più perché la gente è stufa. Poi, a un certo punto, ci scappa il morto o la pistolata in diretta e li vedi tutti lì ai nostri talk show di serie C a troncare e sopire e smentire come un codazzo di fittavoli avellinesi beccati con le mani nella marmellata di una cosa più grande di loro. Comici.
Ma dall’altra parte - anche se sembra incredibile - sono pure peggio. Se a destra la difesa degli interessi dei cittadini è meramente strumentale - del poverocristo rapinato non importa a nessuno, questa è la verità - a sinistra invece la latitanza è scientifica, programmatica, meditata. Ed è figlia della storia contorta e mefitica di questo paese maledetto, che ha prodotto una cultura dominante secondo la quale gli atti criminali - quelli contro il patrimonio privato in particolare - sono sempre causati da condizioni esterne e non da una libera scelta dell’individuo. Tanto l’individuo non esiste, nella repubblica delle banane, non è così? Uno ruba non perché è un criminale e ha scelto - ha scelto! - di vivere in quel modo, ma perché il mondo esterno, la società, il capitalismo, il padronato, le multinazionali, i ricchi, i potenti e tutto il caravanserraglio ideologico prodotto dal peggior buonismo all’italiana, ha forgiato in quel modo un’anima che di suo, in potenza, era pura, casta e innocente. Insomma, la rivisitazione circense di Rousseau. Gli uomini sono tutti buoni, è la società a corromperli. Non esiste peccato originale, non esiste libero arbitrio, ma solo invalicabili condizionamenti esterni. Tutti quelli che rubano lo fanno perché non hanno un lavoro e non hanno un tetto e quindi sono loro i deboli, non le loro vittime, che invece spesso e volentieri se la passano alla grande.
Ma non è così, perché, purtroppo, ci sono tantissime persone che hanno fame e sete, ma solo poche, pochissime, tra queste si trasformano in delinquenti. Perché questi lo hanno scelto. Hanno preso la loro decisione. Che è loro e soltanto loro e non di qualcun altro. Il momento in cui uno sceglie tra il bene e il male è uno dei misteri insondabili dell’esistenza, ma proprio per questo è una cosa tua, tua e soltanto tua, che nessuna condizione sociale, economica o familiare potrà mai orientare. Questa è una filosofia pericolosissima, untuosa, deresponsabilizzante e perfidamente pervasiva, che va a saldarsi con quell’altra secondo la quale la proprietà di una cosa è di per sé un male, un tradimento a quello stato perfettamente paritario che a qualcuno potrà ricordare il paradiso terrestre, ma ad altri la Bulgaria degli anni d’oro. È per questo che nella cultura anglosassone il furto in una casa è punito in modo così severo e da noi, invece, come un peccato veniale. Ben altri sono i problemi. Non è grave rubare a una persona. Non è grave portar via i suoi soldi, i suoi ori, il suo patrimonio perché queste, in fondo, sono solo cose materiali, voluttuarie, quasi sporche. Ed è per questo che si permette così spesso a un ladro di tornare subito in circolazione e di continuare imperterrito a colpire.
Eppure lo sappiamo tutti - chi non ha subito almeno un furto così? - quale trauma rappresenti un fatto del genere. Quale violenza. Quale vulnus al proprio legittimo senso di sicurezza. Quale ferita non rimarginabile nel vedersi sottratti gli orologi magari appartenuti al padre o al nonno, oggetti carichi di affetti e legami e memoria, di regali d’amore, feste di laurea, ricordi dei figli da bimbi e delle nostre altre piccole giornate indimenticabili. E quale stupro rappresenti essere stati minacciati e magari narcotizzati, imbavagliati e picchiati dentro casa nostra. In quanti non dormono più con la luce spenta? Quanti tremano, notte dopo notte, al pensiero di cosa possa accadere se un ladro incrociasse la propria moglie, la propria figlia? E quando ti ricapita per tre o quattro volte? Chi ti difende? Chi ti protegge? E poi, a conti fatti, dov’è il castigo dopo il delitto? Interessa a qualcuno delle migliaia e decine di migliaia di derubati e rapinati ogni anno? A chi importa, al di là del rastrellare qualche voto sotto elezioni?
Nessuno deve sparare e nessuno deve giocare al pistolero - mai! -, ma la certezza di una pena durissima, esemplare e senza sconti per chiunque abbia violato la nostra intimità è l’unica cosa che uno Stato serio dovrebbe garantire a tutti i suoi cittadini. Ma nessuno farà niente, potete giurarci, perché siamo tutti sudditi in questo paese di cialtroni.
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