Soltanto gli stupidi non cambiano mai opinione. Se diamo per buono l’aforisma, allora l’annuncio del governo di far retromarcia sullo sciagurato aumento delle tasse agli enti non-profit potrebbe essere un indizio di acume e intelligenza. Questo, però, a voler tacere da un lato le imbarazzanti dichiarazioni di alcuni esponenti governativi a margine del dietrofront, dall’altro a voler ignorare il fatto che la cancellazione dello sconto del 50% sull’Ires (l’imposta sui redditi delle società) per gli enti non-profit, al momento è ancora scritta nero su bianco sulla manovra finanziaria votata di fretta e al buio con la fiducia. La verità è che se non ci fosse stata una sollevazione corale, civile e unanime contro l’idea di tassare il volontariato, ieri non ci sarebbe stato l’annuncio (vale la pena ribadirlo: siamo per ora solo alle promesse, in attesa di un provvedimento concreto) del ripensamento. Ripensamento accompagnato da una frase del vicepremier Luigi Di Maio che, nella sua innocenza, suona alquanto inquietante: «Si volevano punire coloro che fanno finto volontariato e ne è venuta fuori una norma che punisce coloro che hanno sempre aiutato i più deboli». Ecco, non fosse chiaro l’intento benevolo di una simile affermazione, potremmo anche trarne l’idea sbagliata (?) di un governo di dilettanti, dove si pensa a una norma e se ne scrive una differente.
Addirittura peggiore l’uscita del viceministro all’Economia Laura “questo lo dice lei” Castelli. La quale, nella personalissima gara di gaffe che condivide con Danilo Toninelli, è a giustificare così, all’agenzia Agi, la tassa contro il volontariato: «È giusta: se sei del terzo settore “enti ecclesiastici e non” si presuppone che tu non faccia utili visto che sei senza scopo di lucro. Noi tassiamo i profitti delle no profit mica tassiamo i soldi della beneficenza!». Quanta pochezza in 174 caratteri. Passi che a pronunciare una simile sciocchezza sia un Napalm51 qualsiasi (l’odiatore seriale di facebook inventato da Crozza), ma che il braccio destro del ministro all’Economia non sappia che gli enti non-profit si chiamano così non già perchè non fanno profitti, ma perché i profitti che fanno non vengono distribuiti tra i soci, bensì utilizzati per le proprie attività benefiche, è demoralizzante, prima ancora che allarmante.
E torniamo all’aforisma di partenza: davvero il dietrofront è sinonimo di intelligenza? Il dubbio è quantomeno lecito. E con il dubbio resta pure la preoccupazione di essere governati da gente che, per racimolare soldi necessari a mantenere folli promesse elettorali, era pronta a bastonare la parte migliore del Paese: i volontari e gli enti che fanno della beneficenza la propria ragione d’essere. L’aspetto davvero grave dell’aumento dell’Ires inserito nella manovra finanziaria è il segnale mandato da quella norma: il governo che si vantava di aver abolito la povertà, per farlo ha cercato di abolire le realtà che quotidianamente sono accanto ai poveri. E che, con la propria opera, rendono più tollerabile l’assenza dello Stato.
Qualcuno, nel bel mezzo della bufera sollevata dagli effetti deleteri della manovra, ha proposto una forma di protesta particolarmente ad effetto: lo stop di ogni attività svolta dagli enti benefici, le mense dei poveri, le onlus che si occupano di bambini, quelle che raccolgono il cibo per chi non ha abbastanza soldi per arrivare a fine mese, quelle che aiutano la ricerca contro il cancro, l’aids, la fibrosi cistica, la sclerosi. Immaginate gli effetti devastanti. Alla fine, potete scommetterci, nessuno avrebbe davvero rinunciato a fare il bene per protesta. Perché chi davvero sta accanto alle persone è gente seria. Mica sta al governo.
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