Non rubate all’uomo
la dignità del lavoro

Cariche della polizia, tre operai feriti, tensione alle stelle. Il corteo a Roma degli operai Acciai Speciali di Terni ha vissuto ore drammatiche. In piazza questa volta c’erano solo dei lavoratori con il loro carico di disperazione. Se tutto andrà per il verso giusto, alla fine, almeno 300 di loro, dovranno dire addio al posto di lavoro. Altrimenti saranno più di 500. Ciò che è accaduto ieri, nelle vie della capitale, restituisce all’opinione pubblica la realtà vera di un Paese che rischia di precipitare. Bastava guardare i volti di quegli operai per capire; c’era impressa la rabbia vera. La rabbia di chi non vuol perdere il lavoro, perché non vuol perdere la dignità.

Quanta distanza con le parole. Quanta distanza con quei politici, Renzi intesta, che continuano a raccontarci di un mondo che cambia più veloce della luce. Che continua a dirci che bisogna adeguarsi, arrendersi all’idea che nel futuro non varranno più le regole del passato. Perché non basta affermare che chi perde il lavoro deve essere “accompagnato”, “sostenuto”. Chi perde il lavoro precipita in un limbo di disperazione, di solitudine, di dolore e non basta un vago sostegno per uscirne.

Suona ancora forte il monito di Papa Francesco: «Non esiste una povertà peggiore di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro. La disoccupazione non è inevitabile ma è l’opzione sociale di un sistema economico che pone i benefici prima dell’uomo. Tutti hanno diritto ad una remunerazione degna e alla sicurezza sociale».

Che cosa resta ad un uomo che rischia di perdere il lavoro? Scendere in piazza e gridare il proprio no, forse è l’unica possibilità. Ma questo grido va raccolto e non respinto. Che paura possono fare 200 lavoratori che sfilano per le vie della capitale?

Ma forse ha ragione Crozza quando, con la sua geniale ironia, dice: «Alla Leopolda hanno fatto entrare due operai, per vedere come sono fatti». Non si conosce più la realtà, si preferisce considerare la perdita del lavoro quasi come un effetto collaterale di un processo inevitabile. Ma non è così. Un Paese civile non lascia indietro nessuno. Non è accettabile arrendersi all’idea che un esercito di disperati venga ridotto a non avere la possibilità di guadagnarsi il pane. Chi stava in piazza ieri a Roma rivendicava solo la propria dignità. Sono loro, come altri milioni, che con il loro lavoro hanno sostenuto e reso grande questo Paese. Loro come altri milioni, hanno faticato, sudato, pagato le tasse ed oggi non possono rischiare di sprofondare dentro qualche statistica o magari ritrovarsi ad elemosinare un aiuto per sè e per i propri figli.

Chi governa non lo dimentichi. L’unica sfida da vincere è non lasciare indietro nessuno. «Non esiste una povertà peggiore di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro».

Le parole del Papa devono diventare un monito per tutti quei politici che hanno dimenticato la realtà e continuano a recitare in un teatrino che offende il buon senso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA