Di fronte all’esplicita richiesta di una Francia colpita al cuore dalla violenza islamista, il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker non ha potuto che assentire: i nuovi costi che lo Stato francese dovrà sopportare per combattere il terrorismo in casa e anche lo Stato islamico in Medio Oriente non saranno conteggiati nel patto di stabilità. Già vi erano state forti spinte in tal senso la scorsa estate, in occasione dell’emergenza immigrazione, ma oggi tutto è ancora più drammatico. E quello che vale per la Francia varrà, ovviamente, anche per ogni altro Paese: Italia inclusa.
Non si tratta di una buona notizia, dato che gli Stati europei (e l’Italia più di altri) dovrebbero fare il possibile per sconfiggere deficit e debito. La crisi attuale, però, sta offrendo su un piatto d’argento agli uomini politici di tutta Europa l’opportunità di adottare politiche lassiste, destinate a proiettare un’ombra ancora più nera sulle generazioni future, a cui negli anni a venire sarà chiesto di sopportare il doppio peso del debito pubblico (gli interessi da pagare sui titoli di Stato) e del debito previdenziale (le pensioni da versare a chi ha dato allo Stato risorse che non sono state accantonate).
I conti pubblici in disordine, di fronte ai quali l’Unione è disposta a chiudere un occhio, minacciano i nostri giovani forse non meno di quanto faccia la violenza di matrice islamista. Senza considerare che, al di là delle parole di Juncker e dello stesso fiscal compact, è sempre più chiaro come la prima vittoria dell’Isis contro l’Occidente sia consistita nel fatto che dopo le violenze di Parigi tutta l’Europa ha iniziato a chiedere più Stato, più controlli, più garanzie. In poche parole: più politica.
Come gli storici sanno bene, lo statalismo e la guerra marciano di pari passo, dato che ogni conflitto comporta una dilatazione dei poteri pubblici: e questo perché le guerre costano moltissimo, costringono a militarizzare l’intera società, sacralizzano la Nazione e impongono logiche di tipo emergenziale.
Per quanto riguarda l’Italia, il dato cruciale è che adesso la nostra classe politica dispone di uno straordinario alibi. Incapace di eliminare gli sprechi, il governo italiano può giustificare le proprie manchevolezze utilizzando la foglia di fico delle spese eccezionali per la sicurezza. D’altra parte la lista dei tecnici incaricati di operare una revisione della spesa si è ormai fatta lunga: da Piero Giarda a Enrico Bondi, da Carlo Cottarelli a Roberto Perotti. E tutti hanno buttato la spugna in quanto lasciati soli da una politica di corte vedute, che ora appare pronta a sfruttare anche quest’ultima crisi.
Proprio in frangenti come questi, invece, si dovrebbe trovare la forza per riconoscere le ragioni della nostra (passata) grandezza e la causa prima delle presenti difficoltà. Siamo cresciuti grazie al lavoro e agli scambi, e ora siamo fragili a causa di un terribile squilibrio tra l’area della produzione e quella del parassitismo. Chi vuole davvero aiutare l’Italia non dovrebbe ignorare questi dati, perché solo se torneremo a crescere saremo anche meglio in grado di proteggerci e nutrire ottimismo.
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