“Fusse che fusse la vorta bbona”. Lo diceva Nino Manfredi in una vecchia Canzonissima. Qualcuno potrebbe obiettare che siamo fuori tempo visto che c’è il festival di Sanremo. E allora è perfetto poiché l’argomento da trattare è quello del cantiere del lungolago che di kermesse dal teatro Ariston ne ha viste già nove e altre ancora dovrà sorbirsene.
Però finalmente qualcosa si muove e soprattutto può essere percepito in maniera tangibile dai cittadini comaschi. Rivedere, nei giorni scorsi, un mezzo muoversi nella zona dopo anni di totale immobilismo ha riportato un po’ della speranza che sembrava svanita del tutto: quella di ricongiungere Como al suo lago con una passeggiata completa e abbellita.
Bisogna dare atto alla Regione che finora ha mantenuto tutto quanto promesso anche nei tempi annunciati. C’è solo da augurarsi che vada avanti così, che l’appuntamento elettorale previsto in tarda primavera non sia una di quelle feste che, una volta passate, vedono il santo gabbato.
Perché i santi siamo noi, cari lettori. Sono tutti i comaschi che in questi anni hanno dimostrato una pazienza davvero encomiabile che sarebbe ora di premiare in maniera concreta. Chi sia a riuscirci non interessa. Abbiamo fatto nostra la celebre massima di Deng Xiaoping sull’indifferenza nei confronti del colore del gatto. L’importante è che acchiappi il topo. Quella bestiaccia di questione paratie che ce l’ha fatta a non farsi acchiappare da due amministrazioni comunali di centrodestra e centrosinistra, anche e soprattutto per colpa dei cacciatori. Anche da qui discende l’assoluta noncuranza cromatica. E neppure c’è da aspettarsi grandi feste nei confronti di chi individuerà il bandolo della matassa. Ci mancherebbe altro. Bastano o no due lustri per consideralo un atto dovuto?
E poi cari comaschi, alla fine il merito dell’eventuale lieto fine sarebbe solo vostro. Della straordinaria mobilitazione scattata in occasione dell’iniziativa del nostro quotidiano sulle cartoline che, sono sì state recapitate all’allora presidente del Consiglio, ma, vista la mole rappresentata dalle vostre 60.208 firme e da un riverbero mediatico internazionale che non potevano essere ignorati anche negli altri palazzi della politica. Qualcuno, certo, accuserà anche una volta La Provincia di vanagloria, dimostrando di nuovo di non aver capito. Poiché il giornale è stato solo il postino che ha consegnato le cartoline prima ai cittadini quindi ha suonato una seconda volta a palazzo Chigi. Ma se voi non vi foste mossi così in tanti, convinti che nell’immobilismo della politica toccava a voi gettare il macigno nello stagno, l’iniziativa sarebbe stata inutile. Ecco perché adesso ci aspettiamo che tempi e promesse siano mantenute. E La Provincia, smessi i panni del portalettere (anche se magari in questo periodo sarebbero utili) tornerà a indossare quelli della vedetta comasca. Piccola magari, come quella di De Amicis, ma con lo stesso coraggio e la medesima fede nella causa. Che è quella della nostra città e del nostro lago. Un interesse superiore a qualunque altro, in questo momento, per la nostra comunità. Perché il legame tra la città e il lago non può essere spezzato dalla malapolitica. Perciò vigileremo, come abbiamo fatto finora. E, da buone sentinelle, lanceremo l’allarme e potremmo richiamare i cittadini alla mobilitazione se riterremmo che vi sia il pericolo di un nuovo immobilismo. Nella speranza comunque che davvero questa sia la “vvorta bona”.
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