Il bello che anche vent’anni fa il refrain era sempre quello: Como non conta niente, non si portano a casa quattrini, opere infrastrutture. E guarda Lecco cosa ti ha fatto e Varese cosa ti ha combinato. Per non parlare di Bergamo e Brescia lontani millenni luce dalle nostre povere miserie. E invece va a finire che scopriamo, come al solito, quanto si stava meglio quando si stava peggio.
Perché con la faccenda della tangenziale di Como siamo andati a scavare anche sotto il barile. Umiliati, snobbati, spernacchiati, trattati come pezze da piedi dopo le solite promesse da uomini avvezzi ad andare per mari.
Pedaggio come da copione, neanche uno spiraglio per il secondo lotto che ci servirebbe come il pane. E tanti saluti da Roma, mandatece una cartolina. Insomma sempre più in basso. Se prima contavamo zero (ma bisogna poi vedere e vedremo) adesso abbiamo toccato quota meno dieci.
Che freddo. Perché se la tangenziale è ben più della punta dell’iceberg, sotto c’è il ghiaccio della Tremezzina che verrà, se verrà, forse quando le auto saranno state mandate in pensioni dalle astronavi formato famiglia che si vedevano nei fumetti con cui, negli anni ’70, si tentava di immaginare il duemila.
La capitale della cultura 2016 (con tanto di assegno milionario) è diventata Caporetto per Como: sarà Mantova che si accoda a Lecco, Varese, Bergamo, Brescia e così via nel dream team di quelle che ci hanno bagnato il naso. Nel 2017 il titolo milionario toccherà certo a un borgo di un’altra regione. Tanti saluti.
Ma perché Como pesa così poco? Perché bisogna tornare ai tempi del Barbarossa per ritrovarsi tra i forti, per poi peraltro soccombere di fronte agli altri Comuni lombardi (che sia cominciata lì?)? Domande a cui potrebbero e dovrebbe rispondere i rappresentanti dal popolo comasco a tutti i livelli. Andiamo con ordine e partiamo dal basso, dove tutto sommato ci sono quelli che si sono un minimo dati da fare, vuoi perché ci credevano, anche perché la tangenziale può essere una buona vetrina.
Alcuni primi cittadini dei comuni toccati dalla strada si sono messi insieme, hanno costituito un comitato contro il pedaggio, hanno fatto approvare delibere nei consigli comunali. Un bel lavoro alla Ciccio Graziani, generoso ma purtroppo inconcludente. Forse le cose avrebbe preso un piega diversa, già è stato sottolineato, se ci si fossero messi anche gli altri amministratori, quelli dei centri non toccati dal moncherino d’asfalto. Il peso e la voce del territorio avrebbe avuto un altro rilievo anche a Milano e Roma. Ma forse ha prevalso un’altra peculiarità molto comasca: quella per cui ciascuno guarda solo il suo ombelico e gli altri, si arrangino.
Saltiamo il livello provinciale perché ormai questa istituzione è una scatola vuota in cui è stata lasciata qualche poltroncina, E comunque la presidente, Maria Rita Livio, il suo l’ha fatto con puntiglio.
Un po’ diverso il discorso della Regione. A parte il presidente Maroni che, giustamente, forse dal suo punto di vista, ha sempre privilegiato la sua terra natia Varese e sul cantiere delle paratie una mano a Como l’ha offerta, per quanto riguarda il pedaggio della tangenziale ha finito per lavarsi le mani, novello Pilato. Al Pirellone però Como, dovrebbe contare su un sottosegretario (nientepopodimenoche), quell’Alessandro Fermi che forse ha già le sue gatte da pelare nel tentare di rianimare la locale Forza Italia per poter recuperare energie politiche da spendere altrove. Bravissima persona, Fermi, non c’è dubbio. Ma conoscete quel proverbio sulle brave ragazze che vanno in paradiso mentre quelle cattive dappertutto? Per tacere poi della pattuglia di consigliere di maggioranza e minoranza dai lacustri Dotti e Bianchi alla pasionaria dello sconto benzina, omonima Maroni, al diligente Luca Gaffuri in perenne lotta con la sufficienza da raggiungere.
A parole si sono dati tutti da fare per combattere l’iniquo pedaggio. Ma nella politica le parole sono pietre solo in campagna elettorale, poi ci vorrebbero i fatti: se non altro per avere qualche parola nuova da spendere nella successiva corsa al voto.
Uno dice: per fortuna ci sono quelli che vanno a Roma a portare le istanze lariane. Mica pesi minimi peraltro. Chiara Braga da Bregnano è approdata alla corte di Renzi. Sta nella segreteria del Pd, ma soprattutto di quel leader che conta più di tutto il partito e a cui i comaschi hanno tributato, alle scorse Europee, un consenso che neanche la Dc dei bei tempi. Mauro Guerra, che ha giustamente a cuore più le sorti della variante Tremezzina (dove però, come si è visto, il risultato è tutt’altro che certo) è uno conta nell’Anci e un parlamentare di lungo corso che ha viaggiata dalla Prima alla Terza Repubblica passando per la Seconda. Nicola Molteni, infine, fa parte degli emergenti nel cerchio magico della nuova Lega di Matteo Salvini. Ormai quando si accende la televisione e lo si vede battibeccare alla stregua del suo leader, manco ci si fa più caso. Eppure con questo tridente d’attacco siamo rimasti all’asciutto.
Certo tutti i tre, come gli altri, diranno e non senza ragione, che hanno fatto quello che potevano , che gli errori erano a monte, che i soldi sono finiti come la musica e gli amici se ne vanno.
E forse il problema è anche che a furia di assemblare leggi elettorali che allontanano sempre di più i cittadini dalla possibilità di scegliere i loro rappresentanti, capita che i politici si ritrovino con il cannocchiale rovesciato e guardino più verso Roma da cui dipende la loro riconferma che non al territorio di provenienza. Anche su questa tesi pioveranno smentite ed elenchi di tanto che si è fatto e ancor di più che si farà. Ma comunque da domani, chi vorrà percorrere la tangenziale di Como o la Pedemontana dovrà pagare e sottoporsi alla sadica tortura burocratica prevista per evitare le multe e ottenere qualche briciola di sconto.
Era davvero così anche prima? Sarà. Però, tanto per restare sulle strade, se oggi possiamo raggiungere Milano su un’autostrada a tre corsie, il merito è anche di un parlamentare comasco di lungo corso ora ai box, Alessio Butti, che per anni ha addentato la pratica come un molosso. Alla fine ha portato a casa il risultato. Per carità la terza corsia la paghiamo con il pedaggio al casello (un balzello assurdo che peraltro era tale anche con le due corsie), ma almeno l’opera è completa. Non un moncherino d’asfalto incompleto qual è e sarà la tangenziale (e rischia di esserlo anche la Pedemontana se è vero che sono finiti i quattrini).
E anche nella Prima Repubblica, a fatica perché Como si porta sempre dietro questa sindrome di Cenerentola, qualcosa si tirava a casa. L’Università per esempio che adesso è in crisi. O i tanti interventi che hanno cambiato il territorio (basti pensare a cos’era la statale Regina trent’anni fa).
Si dice, senza fare i nomi perché forse sono leggende metropolitane, che all’epoca vi fossero politici “bancomat”: aprivano le sportello, ascoltavano le richieste e rilasciavano il contante. A dirla così è una brutta cosa. Però...
Un’altra leggenda (o no?) narra di un parlamentare comasco sempre pronto a intercettare l’allora potentissimo ministro al Bilancio, il dc Paolo Cimino Pomicino e a farsi consegnare parte dei fondi ottenuti per la Campania da dirottare verso il Comasco, in cambio di una navigazione non agitata del provvedimento nelle Commissioni in aula. Cosa fra uomini di mondo della Prima Repubblica. Ma intanto si stava meglio. La politica era una cosa da cui era difficile uscire con le mani immacolate, ma era più seria. E non che adesso ci siano in giro pletore di mogli di Cesare.
Un bell’esempio di come la politica influisce nel bene e nel male è quello delle paratie. Se Como riuscì a portare a casa i fondi della legge Valtellina da cui è nato il progetto, fu merito anche di un consigliere regionale comasco. L’utilizzo nefasto che è stato fatto di quei finanziamenti è stata colpa di tanti politici locali. Stesso discorso vale per la Ticosa: l’acquisto da parte del Comune fu un’operazione abilissima (mica penserete che l’abbia davvero pagata tutta Como e lungimirante. Sul dopo è inutile sprecare altro inchiostro.Alla fine tutto è relativo, tranne una cosa. Non contiamo niente. Questa è una certezza.
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