Per favore la città
accenda la luce

Quando serve qualcosa, mai che capiti di averla sottomano. Nel caso, farebbe tanto comodo un bel dizionario dei sinonimi e dei contrari. In lingua francese, però, così da poter stabilire con esattezza qual è il contrario di “ville lumière” e applicarlo, senza gioia ma inevitabilmente, alla nostra Como. Azzardiamo: “Pays des ténèbres”?

Si vendevano un tempo - e forse si vendono ancora - quelle cartoline frutto dell’idea di un qualche anonimo spiritoso: rettangoli neri con il nome della località e la scritta “... by night” Non è bello dover dire che, dalle nostre parti, tra la cartolina artificialmente nera e un panorama notturno non corre alcuna differenza. Non era quella una trovata da umorista finissimo, James Thurber o Achille Campanile, ma di fronte alla cupa ironia della città di Volta incapace di gettare un po’ di luce nelle sue strade e sui suoi monumenti - incluso il Tempo dedicato al grande scienziato inventore della pila - anche alle barzellette sui carabinieri andrebbe riconosciuta grazia e levità.

In cronaca leggerete di questo e del piano del Comune per rimediare. È giusto riconoscere che il piano c’è ma è altrettanto doveroso sottolineare come non sia dato sapere quando sarà portato a compimento: in queste faccende amministrative, specie quando ci sono di mezzo enti diversi (in questa circostanza, il Comune e l’Enel) si brancola - è proprio il caso di dirlo - nel buio.

Oltre alla già citata assurdità del Tempo Voltiano avvolto dalle ombre come se, dopo l’invenzione della pila, Edison non avesse ancora messo a punto quella della lampadina, c’è la situazione perfino più paradossale della diga foranea. Accesa la nuova illuminazione del monumento di Libeskind, si sono spenti i lampioncini del resto della struttura. Eventi non in relazione tra loro. Eppure, ciò sembra alludere al fatto che, qui, è impossibile portare a compimento qualcosa in tutti i dettagli. Comunque sia, chi volesse raggiungere la notte il monumento scintillante che si staglia nel primo bacino, dovrebbe prima affrontare un tratto immerso nel buio, un tunnel a cielo aperto nel quale neppure l’ingenuità di Cappuccetto Rosso s’infilerebbe a cuor leggero.

E la Casa del fascio? Buio pesto anche lì. Forse una sottile allusione al fatto che il Ventennio non fu proprio il periodo più luminoso nella storia del nostro Paese? Macché: mancanza di cavi e faretti, nient’altro. Così, il capolavoro di Giuseppe Terragni resta invisibile dal tramonto all’alba, con buona pace delle linee purissime ed essenziali volute dall’immortale architetto.

Questo per quanto riguarda monumenti e simboli della città. Ma anche le strade e le piazze, in centro come in periferia, non conoscono sorte migliore. A cominciare da piazza Cavour, straordinaria incompiuta cittadina: dal selciato che non sa cosa essere e rappresentare, per finire ai lampioni che più di qualche smunto lumen non si sentono di emettere, forse a smussare, se non a coprire, l’inconcludenza identitaria della piazza.

Ci siamo divertiti a far dell’ironia, è chiaro (almeno questo, è chiaro) ma il problema resta ed è serio. Serissimo qualora si pensi che per risolvere il blackout della diga foranea, nella peggiore ipotesi, potrebbero volerci dei mesi.

Neppure si vorrebbe tratteggiare un ritratto troppo fosco (ancora: come resistere alle battute sulla mancanza di chilowattora?) ma è proprio conseguenza del riconoscere i tanti passi fatti dalla città nella direzione dell’accoglienza e della valorizzazione di se stessa che il problema del buio urbano diventa prioritario. Bisogna uscire, insomma, e mettersi in cerca di una soluzione. Di giorno, ovviamente: di notte, s’è capito, non si vede una mazza.

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