Il commentatore radical chic è un personaggio davvero impagabile. Appena vede Berlusconi, gli s’innesta subito il turbo al trombone.
Riflesso condizionato. Richiamo della foresta. Neurone pavloviano. Autobiografia di quella parte della nazione. Dittatura dell’ideologia, del pregiudizio, del preconcetto. Conformismo, anzi, autismo culturale che impedisce di vedere la realtà per quella che è, perché quella viene nascosta e ovattata dalla realtà che uno auspica. Anche se non esiste. E non c’è verso di capire, di rettificare, di cambiare. Sono passati venticinque anni e questi - anche i più intelligenti, ecco la cosa veramente grave -, questi che dovrebbero spiegare agli altri, ai lettori, com’è il mondo per davvero, come sono fatti i suoi protagonisti per davvero e quali le dinamiche profonde che li governano, continuano a non capirci una mazza.
L’ultimo esempio risale giusto a qualche giorno fa. Un corsivista brillante e arguto come Massimo Gramellini - che però, chissà come mai, da quando è stato promosso dalla “Stampa” al “Corriere” non ne azzecca più una - ha commentato la fotografia, ormai virale, del Cavaliere seduto a un tavolo del McDonald’s di Segrate mentre legge un menù e gli viene servita una spremuta d’arancia.
L’immagine, in effetti, è strepitosa, anche perché uno la associa a quella celebre del Bersani meditabondo in compagnia di una birretta. Quello che non torna è l’analisi, secondo la quale mai e poi mai ci si sarebbe potuti immaginare il miliardario Berlusconi dentro uno squallido hamburgerificio invece che in una villona in Costa Smeralda o su un panfilo lungo due chilometri o su un jet supersonico o in una dacia in Crimea con i lavandini dai pomelli d’oro, naturalmente contornato da mille ninfette, bonazze e strapazzone. E quindi, se si è lasciato immortalare in un posto del genere, è perché rimane un fuoriclasse della comunicazione.
Dopo gli schiaffoni politici - rifilatigli dai suoi giovani, affamati e grezzissimi alleati - i manrovesci giudiziari e le sberle sanitarie, familiari e aziendali, Berlusconi avrebbero sfruttato il tempo concessogli dal suo figlio illegittimo al governo per rifiatare, rifarsi una verginità, abbassare il profilo, acquisire in saggezza e continenza, far svaporare l’odio belluino che lo ha assediato per decenni - tanto ormai tutti gli italiani odiano Renzi… - e ripresentarsi lustro, dimesso e sobrio al gran ballo della nuova Italia del proporzionale nella quale aspira a dare ancora le carte. Ma stavolta senza farsi notare. Fine del teorema.
Bene. È vero il contrario, come dimostrato da un commento davvero acuto di Maurizio Crippa sul “Foglio”, giornale molto snob ma scritto benissimo, anche se non lo legge (quasi) nessuno. Dire che Berlusconi da McDonald’s è una contraddizione in termini - “così come Renzi in fabbrica, Grillo a yoga o Salvini in libreria” - dimostra che uno non ha capito niente di Berlusconi. Niente. Niente di niente.
E, purtroppo, visto che parliamo di un giornalista di vaglia, niente neppure dell’Italia. Niente. Niente di niente. Perché non vede il Berlusconi reale, bello o brutto che sia, e l’Italia reale, bella o brutta che sia, per quello che sono, ma per quello che lui si immagina, prigioniero della sua pedagogia perbenista.
Berlusconi “è” McDonald’s, questa è la notizia. Berlusconi è l’italiano medio (che schifo, vero?) che pensa cose medie, che arriva dal niente e che dal niente ha costruito una fortuna - con tutti i compromessi, le aderenze, le opacità e pure le porcherie del mondo, per carità, ma vogliamo parlare di quelle di tutti gli altri gran potenti del paese, putacaso? - comprendendo come nessuno le esigenze, le velleità, i sogni, le aspettative degli italiani medi.
Nel suo pezzo, Crippa ricorda con efficacia che il Cavaliere è quello che per primo, mentre gli intellettuali della Magna Grecia riflettevano ancora sui destini della lotta proletaria in Turkmenistan e sulle contraddizioni del sistema capitalistico in Licia, Dacia, Tracia e Cappadocia, si è posto il problema di come le casalinghe passassero il tempo mentre facevano i mestieri o preparavano la cena (che schifo, vero?) e ha deciso di risolverlo. E che proprio per questo si è inventato la televisione e i programmi del pomeriggio. Che a tanti - compreso a chi scrive questo pezzo - fanno generalmente ribrezzo. Ma che sono cose che esistono. E che rappresentano milioni di persone. Che poi decidono, condividono, consumano e, ma guarda un po’, pure votano.
E che, ovviamente, quando vanno alle urne riservano regolarmente e inesorabilmente stangate nucleari al partito dei migliori, dei giusti, degli ottimati, degli antropologicamente superiori, con tutto il suo codazzo di filosofi da terrazza, sindacalisti forforosi, doppiomoralisti pulciosi, distaccati al settore eventuali e varie, manettari del cineforum cecoslovacco, trotzkisti del Catasto, benaltristi, mondialisti, movimentisti, antagonisti, nannimorettisti e tutto il resto di quell’ordalia grottesca e autoreferenziale nella quale svettano per distacco anche i fenomeni dei giornaloni trendy, crème della crème di una categoria di scienziati che in quanto a comprensione della realtà - vogliamo parlare del caso Cinque Stelle, del caso Brexit e del caso Trump, per caso? - equilibrio, equidistanza e schiena dritta, non prende lezioni da nessuno.
Berlusconi, pur essendo un genio, che piaccia o no, e pur avendo fallito clamorosamente per plateali limiti culturali l’occasione di cambiare veramente l’Italia, rimane una persona normale. Totalmente, intimamente normale. E quindi in quel McDonald’s sguazza nel suo elemento primigenio. Un dato oggettivo - bello? brutto? nefasto? salvifico? - che andrebbe visto, per poterlo capire e spiegare, senza le lenti deformanti dell’ideologia e dell’appartenenza. L’appartenenza uccide la curiosità.
E senza curiosità un giornalista non serve a niente, come questi anni rivoluzionari e sanguinosi stanno tragicamente dimostrando.
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