Previsioni o allarme,
chi paga il conto?

É cominciato il conto alla rovescia». C’era scritto proprio così, l’altro pomeriggio, su uno di quei siti internet che vanno per la maggiore e che si dilettano a spiegarci – un po’ fazianamente - «che tempo che fa».

Dicono (ed è vero) che su internet il tempo tira appena un po’ meno del calcio e di Belen messi insieme. E, allora, eccolo il titolo a tutto schermo, metafora moderna del Tito Stagno dello sbarco sulla luna. Tanta attesa, giusto premetterlo, non era però per la conquista dello spazio, che una qualche enfasi oggettivamente l’avrebbe giustificata pure oggi. Ma, assai più banalmente, per la stra-annunciata caduta di qualche centimetro di neve.

Inutile aggiungere, lo avrete visto che voi sbirciando dalla finestra, che per l’apocalisse ci toccherà aspettare ancora un po’. Il «conto alla rovescia» è infatti andato avanti per tutta la notte e per larga parte della mattinata. Con grande costernazione dell’esperto, ci piace pensare. E di tutti noi, che avevamo già fatto la bocca buona alla neve, recuperando dall’armadio scarponi ormai pieni di muffa, improbabili giacche a vento in stile vintage, guantoni di lana colorati perché non c’è nevicata senza palle di neve e disegnini osè sulle macchine imbiancate bloccate nei parcheggi.

E’ lo stesso fenomeno, se ci pensate un attimo, che si verifica in estate. Con i giornalisti (soprattutto televisivi) che nel fresco del loro ufficio super condizionato, prevedono un giorno sì e l’altro pure terrificanti ondate di maltempo, come se non fossimo più il paese del “sole mio” e non aspettassimo altro che qualche alluvione vecchia maniera per piangerci un po’ addosso e chiedere i danni da calamità naturale.

Non è qui il caso di fare i sociologi da quattro soldi su questa strana “ansia da previsione”, quasi che non potessimo aspettare qualche ora per vedere se piove o tira vento. E neppure servirebbe spendere parole su certa informazione, così tempestiva e in real time da diventare ossessiva (e possessiva) nelle nostre vite.

Molto più interessante vederne gli effetti e raccogliere – con tanta comprensione – la solenne arrabbiatura di chi deve pagare i conti di questa bulimia meteorologica. Protestano, i commercianti di Como e di Lecco, e parlano di terrorismo ambientale chiedendo - alla luna, certo - a chi devono inviare la fattura di queste giornate da sprofondo rosso.

E non si tratta della solita lamentela. Pensate al vostro ufficio improvvisamente falcidiato da provvidenziali influenze di stagione dei colleghi che arrivano da lontano.

E poi , guardate i negozi desolatamente vuoti, i locali pubblici costretti ad abbassare anzitempo le saracinesche giusto per non regalare allo Stato le tasse della corrente e del riscaldamento. E, ammettetelo, anche voi avreste ceduto alla tentazione di annullare la prenotazione alberghiera per il fine settimana sul lago di Como, così bello quando è bello ma così brutto quando è brutto.

Il quadretto che avremmo avuto in caso di nevicata, insomma. Con un piccolo, trascurabilissimo, dettaglio: la neve non c’era. Se non sulle montagne dove, grazie al cielo, gli esperti meteo non arrivano.n

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