E’ giusto utilizzare le risorse dei privati per il recupero e la valorizzazione dei beni culturali? Sì, ovviamente. Anche, vale la pena specificarlo, quando per ottenere i contributi è necessario permettere alle aziende di utilizzare in via esclusiva, ovviamente per un periodo limitato di tempo, spazi pubblici normalmente aperti ai cittadini. Si tratta di un sacrificio ragionevole, necessario in tempi di magra per le finanze pubbliche.
Il caso di Villa Olmo è da manuale. Due anni fa Bulgari, top brand mondiale del lusso, ha ottenuto dal Comune la possibilità di avere per sé, un paio di giorni in tutto, la villa e il parco. Non fu ovviamente un regalo: l’azienda versò, in virtù di quell’accordo, 40mila euro, una somma pari circa ai due terzi dei soldi spesi per il restauro, terminato negli ultimi giorni, della Sala del Duca, uno degli ambienti più preziosi del monumento anche se poco conosciuto dai comaschi.
La storia è a lieto fine ma vale la pena riflettere sulle polemiche che accompagnarono l’operazione. Molte voci, indignate, si levarono di fronte alla concessione di un bene così prezioso a un’azienda privata. Motivo? Nessuno in concreto, la risposta più frequente era «è una questione di principio». Sì, peccato che si tratti di un principio sbagliato, quello in base al quale del privato è sempre meglio diffidare perché in fondo in fondo fa sempre e soltanto i suoi interessi a scapito di quelli della comunità. E dire che a Como dai privati abbiamo già ottenuto prove di grande generosità. Tra i casi più eclatanti quello degli Amici di Como (un’associazione di imprenditori e professionisti uniti dall’amore per la città) che negli ultimi anni hanno regalato ai comaschi la passeggiata lungolago e il monumento sulla diga foranea.
Certi pregiudizi faticano a morire qui ma anche altrove. Ricordate le polemiche sul restauro del Colosseo? E più recente, ha fatto molto discutere il caso del Ponte Vecchio, a Firenze, ceduto un sabato pomeriggio dall’allora sindaco Renzi per ospitare una cena di gala, ovviamente privata. Turisti e fiorentini trovarono l’accesso sbarrato, ci fu qualche lamentela e poi la vicenda si trasformò in una diatriba politica in consiglio comunale. Si trattava di un evento legato alla Ferrari su cui Renzi non volle sentire contestazioni: «Lo abbiamo fatto, lo rifarei, lo rifaremo: si tratta di un’iniziativa che ha portato un milione di indotto alla città». Giusto tenere duro di fronte alle critiche.
Semmai, tornando a Como, sarebbe il caso che il Comune si organizzasse per valorizzare i propri gioielli con altri eventi del genere. In città ci sono monumenti di assoluto rilievo che si prestano a iniziative del genere alla pari di Villa Olmo. Uno è il Broletto, sede di piccole mostre temporanee ma ideale location per serate di gala. Ma allo stesso modo ci sono le Ville sul lago di proprietà pubblica (il set di Clooney a Villa Erba ci ha fatto comprendere il tesoro che abbiamo in mano) oppure gli stessi Musei civici. Il privato non è il male assoluto, è possibile trovare un equilibrio ragionevole tra l’interesse pubblico, che consiste nell’apertura e nella buona conservazione del patrimonio culturale, e quello delle aziende che hanno esigenze di immagine. Rinunciarvi equivale sempre a perdere un’occasione.
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