La politica italiana ormai trascolora nel surreale. E la vicenda di Conte trincerato a palazzo Chigi sotto l’assedio di Renzi da respingere forse con le truppe dei “responsabili”, quei parlamentari che nell’armadio tengono un set di giacchette buone per ogni occasione, rischia di essere più macchiettistica di quella di Trump incatenato al cancello della Casa Bianca. Tutto per colpa delle bizze di Matteo.
Perché, diciamola tutta, ormai il re è nudo. Il premier ha ceduto sulla task force, è pronto a farlo su Recovery fund (da cui dipende il nostro futuro e non dovrebbe essere degradato a squallida merce di scambio poltronista). Eppure Matteo si aggrappa ai servizi segreti. Per una volta ha ragione pure Salvini. Cosa importa agli italiani in questo momento delle “barbe finte”? Pare di essere in un film diretto dal nonno di Calenda, Luigi Comencini con Nino Manfredi: “Italian secret service”.
La verità e il problema è che il tutto è diventato una questione personale: Renzi non sopporta più Conte, il solo vederlo in tv a declamare l’ennesimo incomprensibile Dpcm gli provoca forme di alopecia a chiazze.
Sarà mica invidia quella che alberga nel cuore toscano dell’ex premier? Vi ricordate quando c’era lui a tirare le fila del governo? Ogni giorno una diretta per illustrare provvedimenti annunciati a colpi di “slide”, stile maestro Manzi post moderno perché il popolo bue capisse quali meraviglie lo attendevano se solo era disposto a salire sul carretto dell’omino di burro e vedere l’Italia trasformata in un Paese, se non dei Balocchi, almeno della felicità, dell’efficienza e di un’opportunità per tutti, ma proprio tutti. Non caso Carlo Lorenzini, al secolo Collodi ha calcato terre non lontane da quelle del Matteo. Peccato che, mentre lui garantiva, sul suo onore, una riforma al mese, nelle stanze accanto i burocrati, i funzionari, i direttori generali ministeriali, insomma la struttura messa lì con lo scopo di rallentare qualunque pratica, si toccasse di gomito nell’attesa che la nottata tutta stelle passasse.
E passò perché quegli astri rilucenti erano di cartapesta, lanterne alimentate a carburo e destinate a spegnersi alla fine dell’effimero spettacolo. Perché diciamolo, cos’è rimasto della breve ma scoppiettante epopea del Rottamatore?
C’è il Jobs Act, la riforma del lavoro forse non abbastanza coraggiosa e con le ali piombate dalla crisi che, alla fine, di benefici, specie a chi era in cerca di un’occupazione, ne ha portati pochi.
E poi gli ottanta euro. E qui vale la pena di soffermarsi un attimo. Perché se Renzi, alle fatidiche elezioni europee di un ormai lontano 2014, ha toccato la sommità della sua parabola con il 40% dei voti, si deve a questa misura, all’aver messo in tasca qualche soldo a parecchi cittadini. Ora, al di là del carattere tristemente assistenzialista della trovata non dissimile dai sistemi utilizzati dai “rottamati” del toscanaccio per mantenere il consenso, l’allora premier ignorava l’esistenza di un proverbio lombardo: “Grazie a questa mano che ci sia anche domani”. Pronunciato in dialetto senza le lettere finali, viene fuori anche la rima. Ma cosa significa il detto popolare? Che se tu oggi mi hai regalato qualche cosa io mi aspetto che lo faccia ancora. E il povero Matteo invece pensava che bastasse la mancetta per indirizzarlo sul sentiero dell’immortalità politica.
Invece, una volta che mano generosa si è richiusa, gli italiani, sdegnati e delusi gli hanno voltato le spalle in fretta e, anche a causa del delirio di onnipotenza che sembrava averlo soggiogato. Si sa come sono andate le cose: lui si è intestato il referendum e ha finito per oscurare anche le cose buone che la riforma costituzionale conteneva. Ed è finito con le terga al suolo. Per tornare “rieccolo” come un altro gran toscano della nostra politica, Amintore Fanfani, ha dovuto attendere l’affondo del suo omonimo Salvini anch’egli riempitosi di sé e ha opposto un contropiede magistrale alla sua richiesta di pieni poteri, rivoltando la maggioranza del governo Conte.
Ora Renzi vuole buttare via, assieme all’acqua sporca che non manca, anche il bambino di cui è stato levatrice (levatore, al maschile non usa, forse ostetrico). Il problema è che anche in questo caso gli italiani, ammesso che abbiano l’uzzolo di incapricciarsi con queste faccende dopo tutto quello che gli è arrivato addosso, non capiscono. Magari, anzi senza magari, il governo è meno popolare rispetto alla seconda ondata.
E di certo la maggioranza che lo sostiene non rispecchia quella reale del Paese, orientata in un’altra direzione. Ma in caso di elezioni anticipate, eventualità remota non fosse altro per il rischio di contagi in cabina, a essere punita sarebbe sicuramente Italia Viva, creatura assai più gracile della prosopopea del suo leader. Mattarella ha sprecato buona parte del suo discorso di fine anno per tentare di far capire al monello fiorentino che è tempo di costruire più che distruggere. Il dubbio però è che l’ex premier sia stato progettato solo con le credenziali di quello che arriva a bordo della gru con la grande palla di ferro sospesa per buttarti giù la casa.
Del resto, il ruolo di rottamare gli è riuscito benissimo. Sul resto, come abbiamo visto, forse c’è qualche carenza. Ma c’è sempre tempo per rimediare. O almeno rinviare il duello finale a quando i baiocchi promessi dall’Europa saranno stati stivati.
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