Quello di tirare il Papa per la giacchetta (meglio, per la tonaca) è uno sport piuttosto antico. Anche di fronte a Francesco è percepibile questo rischio da parte di più di qualcuno: cercare nel Papa, in qualche sua frase o atteggiamento, la conferma dei propri pensieri, delle proprie visioni o delle proprie abitudini.
Così, invece di lasciarsi interrogare, anzi «ferire», dall’esempio e dalla parola del vescovo di Roma chiamato «dalla fine del mondo», mettendosi in discussione, si finisce per sentirsi confermati e tranquilli: finalmente c’è un Papa che la pensa come me. Questo è evidente in qualche scomposta reazione dei gruppi progressisti nella Chiesa.
Ma la vera novità di questi tempi è, invece, la critica puntuta e pure sprezzante che arriva dal fronte cosiddetto tradizionalista: i critici implacabili di Francesco sono relativamente pochi, ma aggueritissimi grazie a blog e siti web. Il loro atteggiamento - e qui sta il dato inedito - non è quello di prendere le distanze da questo o da quell’atteggiamento del Pontefice, da questa o da quella decisione. Nella Chiesa s’è sempre discusso, più o meno apertamente, ed è ovvio che il Papa non stia simpatico a tutti.
La novità sta, invece, nell’atteggiamento. È come se l’ultimo decennio avesse fatto crescere una schiera di persone, in particolare di pubblicisti, che s’arrogano il compito di giudicare il Papa in nome della (loro) dottrina. Loro, le loro idee, i loro schemi, sono il metro di giudizio dall’alto del quale si giudica il vescovo di Roma. Ci troviamo dunque di fronte al moltiplicarsi di tanti «Prefetti del Sant’Uffizio» piccoli piccoli, che si sono auto-investiti del compito di custodi dottrinali della Chiesa e riempiono pagine web - ma anche paginate di giornali - con le loro analisi, vivisezionando le parole di Francesco. Per poter sostenere le loro tesi preconcette, con precisione chirurgica, estrapolano quattro parole, magari dalle interviste vere o presunte di Francesco, giudicandolo per una frase. Per sostenere le loro idee, sono costretti però a far finta che non esista tutto il resto di ciò che Bergoglio fa o dice. Per appiccicare al Papa lo stantio cliché progressista, fingono di non accorgersi di quanto nella sua catechesi quotidiana Francesco approfondisca e trasmetta, in modo comprensibile a tutti, il messaggio centrale ed essenziale del Vangelo.
C’è però un dato interessante e confortante. È vero che quel teatrino intellettuale e mediatico che aveva preso forza durante gli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI, travisandone l’insegnamento e «schiacciandolo» su posizioni mai a lui appartenute, sta ora tentando, invano, di demolire il suo successore. Ma è altrettanto vero che si tratta, appunto, di un teatrino, di circoli totalmente autoreferenziali. La realtà, che meriterebbe di essere descritta e raccontata, è questa: ci sono tante, tantissime persone nel mondo colpite dalla testimonianza di Papa Francesco. Credenti e anche non credenti, provocati dalla sua parola e dal suo esempio. Persone che guardano alle proprie umane miserie, respirano un po’ di speranza, si lasciano commuovere. E non si sognerebbero mai di impancarsi a «Prefetti del Sant’Uffizio». Seppur piccoli piccoli, come certe vivisezioni del magistero.
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