Non si sa se il cane Pluto abbaiò davanti alla feritoia della recinzione del cantiere sul lungolago all’altezza del Metropole Suisse. Ma Innocente Proverbio (un destino nel nome) si fermò e guardò attraverso il pertugio. Non vide il lago, vide un muro che stava prendendo forma, un incubo di calcestruzzo che avrebbe cambiato uno dei panorami più affascinanti del mondo.
Quel giorno, senza saperlo, un pensionato aveva ottenuto due obiettivi: portare in Italia il citizen journalism di cui tanto parlano oggi i guru dell’editoria digitale (era il 2009) e smascherare uno dei più assurdi manufatti pensati per Como. Innocente Proverbio tornò a casa e fece la cosa più spontanea per un cittadino perplesso. No, non postò la notizia su Facebook fra un arrosto e un criceto con la vacua autoreferenzialità di molti Pulitzer da tinello. Ma scrisse a La Provincia, scrisse al suo giornale.
Tutto cominciò allora e dopo sette anni (otto dall’apertura del cantiere) siamo ancora qui. Con altrettanti avvisi di garanzia, due amministrazioni, tre o quattro inchieste, decine di polemiche, tremila comaschi in piazza, centinaia di mail, lettere, telefonate di cittadini che spontaneamente in quella stagione si sentirono comunità. La segreteria del giornale fu messa a dura prova: Pierangelo, Marina e Alessandra fecero fronte con perizia all’emergenza. La redazione della cronaca reagì con la consueta passione e professionalità sfornando approfondimenti, interviste, retroscena. Morale, cinquemila firme di lettori contrari al manufatto. Le pubblicammo tutte con il titolo: «Ecco l’unico muro che ci piace».
L’amministrazione era spiazzata, l’allora sindaco Bruni (Forza Italia) credeva in quel riassetto del lungolago, i suoi alleati molto meno. A rendere incendiario il clima fu anche l’infelice uscita di un assessore. Alla domanda di un giornalista, lui (che abitava a Brunate) si lasciò scappare: «Il lettore si preoccupi della sua vista, dei muri di casa sua. Comunque il lago si vede benissimo». In quell’autunno caldo (era settembre) due lettere e una telefonata mi impressionarono. La prima missiva arrivò da Manhattan, New York. Era di una signora americana innamorata del lago, che ogni anno soggiornava nello stesso albergo, nella stessa stanza, con lo stesso scorcio di piazza Cavour davanti agli occhi. Il tono era deluso, lei si domandava perché l’uomo riuscisse a rovinare ciò che la natura aveva voluto perfetto. La seconda lettera, più indignata, recava sulla busta una provenienza poco meno che marziana: Ulan Bator, Mongolia. Il mittente andava giù piatto, modalità Gengis Khan, più o meno così: «Vergognatevi, quello è il lago più bello del mondo, ho scaricato foto e video da internet, l’ho scoperto con George Clooney e voi, che dovreste preservarlo, lo devastate in questo modo». La notizia aveva fatto il giro del mondo.
Se voci sconosciute urlavano da altri continenti, figuriamoci i comaschi. Gli stessi che non hanno mai percepito quel lago in libera uscita ogni quattro o cinque anni come un problema; gli stessi che durante le esondazioni portavano i figli sulle passerelle a guardare lo spettacolo (ricordo quei momenti con mio padre); gli stessi che si attrezzavano con barchette, moto d’acqua, perfino auto anfibie per rendere pittoresco quel momento di sospensione dell’esistenza. Gli stessi che dopo il ritorno del lago nel suo alveo naturale aiutavano a portare via detriti e legname dalla piazza stropicciata. Gli stessi, si incazzarono. E come loro l’uomo della telefonata. «Caro direttore, posso fare una dichiarazione? Se l’amministrazione comunale non abbatte il muro vengo su io con un piccone». Era Roberto Formigoni in persona, dal Pirellone aveva colto il malessere lariano. E a qualche mese dalle elezioni regionali del 2010 il governatore non poteva permettersi un tumulto in una delle roccheforti del centrodestra. Ma la burocrazia è più forte dei picconi. Lo stallo dimostra che l’iperproduzione di leggi, codici e carte da bollo compensative non sono altro che una camicia di forza per il fare.
Oggi quel cantiere inerte dovrebbe decretare la morte del turismo, ma non ci riesce. E questo, nello sfascio, è stupendo. Ogni domenica turisti col gelato provano a intuire, da dietro la staccionata, la magia del luogo: l’acqua, le barche alla fonda, il vento, i nitidi bagliori laggiù verso Cernobbio. È un popolo in attesa che quelle barriere si sbriciolino per svelare l’eterna verità del lago.
Per questo La Provincia - sempre in prima linea nel rappresentare la sua terra - ha deciso di alzare il volume della radio. Vogliamo rivedere il lago. Lo stesso che faceva irritare Gianni Brera quando veniva allo stadio Sinigaglia e scriveva: «È come una donna stupenda, mi distrae con le sue forme. E mi fa perdere i gol della partita». Vogliamo rivederlo da Villa Olmo a Villa Geno. E vogliamo rivederlo tutti, compreso il cane Pluto.
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