Correva l’anno 1997. E mentre Romano Prodi era presidente del Consiglio, il segretario dei Ds, principale partito della coalizione di governo Massimo D’Alema cercava una maggioranza alternativa per le riforme attraverso la Bicamerale e il dialogo con Silvio Berlusconi.
Diciassette anni dopo, a palazzo Chigi c’è Enrico Letta e il leader del Pd, il partito più importante nel governo delle larghe intese, Matteo Renzi, dialoga con Silvio Berlusconi per modificare la legge elettorale, l’impresentabile porcellum. Detto che l’unico protagonista rimasto sulla scena è il
Cavaliere, va ricordato che l’anno successivo al 1997 Prodi cadde e fu sostituito da chi? Proprio da D’Alema.
Coincidenze? Ma sì. Certo, tutto fa pensare che questo affannarsi di Renzie (come lo chiama Dagospia rievocando Fonzie) abbia l’unico scopo di sfilare la sedia da sotto le terga di Enrico il nipote (di Gianni) per sedercisi lui. Ma si sa che in politica le cose non sono mai come appaiono. Forse perché la politica è un’alta professione intellettuale, come ebbe a dire Massimo D’Alema magari pensando a Scilipoti e Razzi. Ora, a parte che di questi tempi ,i migliori politici sono quelli che sanno bucare il video e che oggi probabilmente la scuola delle Frattocchie sarebbe un casting, le intenzioni del sindaco di Firenze non sono quelle far terminare l’esperienza Letta. Caso mai è lui, Renzi, che non vuole fare la fine (politica, eh) di Pierluigi Bersani. Ricordate? Il Pd dell’uomo che doveva smacchiare il giaguaro appoggiò fino alle fine il governo Monti, certo non uno degli esecutivi più popolari della storia del Paese e neppure uno dei più incisivi nonostante le attese messianiche per l’ennesimo uomo della Provvidenza, bruciato nello spazio di un mattino. Finì per scottarsi anche Bersani, facendo la figura del piffero di montagna alle elezioni dello scorso anno che avrebbe dovuto stravincere per governare e invece si è visto com’è andata. Ora però Pierluigi ha altre priorità, molto più importanti della politica. Quelle di Renzi riguardano invece il rischio di farsi trascinare a fondo assieme al Pd da un governo che ne sta facendo più di Carlo in Francia. Fra le tasse sulla casa di cui nessuno ha capito nulla salvo che pagheremo caro e (forse) tutti e la faccenda dei soldi chiesti agli insegnati prima della retromarcia, si comprende come il leader del Pd abbia poco da stare tranquillo e debba marcare il governo come Claudio Gentile con Maradona durante i mondiali di calcio del 1982, cioè in manera rude. Del resto, Renzi sa bene che l’esecutivo non può cadere. A vederlo sembra un castello di carte ma dietro ci sono i solidi muri del Quirinale e, soprattutto, le spalle robuste di Giorgio Napolitano. Che Letta e il sindaco di Firenze siano o meno in armonia (difficile visti i caratteri dei due), importa poco. La strana coppia, almeno per un annetto, dovrà procedere mano nella mano, con qualche vigorosa spinta del leader Pd. Poi ognun per sé. Enrico (forse) in Europa e Matteo a palazzo Chigi se riuscirà a mettere il governo al passo con la crescita economica che fa capolino.
Caso mai i rischi per Letta potrebbero arrivare dal centro e soprattutto da destra, dove cresce una fibrillazione alimentata anche dal Cavaliere che non pensa proprio di farsi da parte. Del resto se, 17 anni dopo quel 1997 così uguale e diverso da oggi, l’unico superstite sulla scena è lui una ragione ci sarà.
© RIPRODUZIONE RISERVATA