La corsa contro il tempo del governo Renzi sulle riforme sta incontrando, come prevedibile, i primi ostacoli al Senato.
La fiducia un po’ risicata ottenuta sulla riforma delle province ha confermato il rischio di defezioni capaci di logorare il tessuto della maggioranza: alcuni senatori dei Popolari per l’Italia (il gruppo dell’ex ministro Mauro) hanno votato contro il provvedimento che di fatto trasforma le Province in enti di secondo livello; ma il punto politico è che i centristi giudicano insopportabile che il premier trasformi in un
«rigurgito della palude» qualunque opinione diversa da quella dell’esecutivo (Dellai). L’interrogativo è se i voti mancati al governo costituiscano solo un episodio o un segnale d’allarme che fa seguito alle votazioni sul filo del rasoio dei giorni scorsi. Il Rottamatore insiste nel dire che se non otterrà l’abolizione del Senato e la fine del bicameralismo perfetto lascerà la politica, ma la verità è che l’ondata di antieuropeismo che percorre il vecchio continente sta cambiando i punti di riferimento che erano alla base del patto con Silvio Berlusconi.
L’imminenza delle elezioni europee, in altre parole, condiziona pesantemente le strategie di tutti i partiti. L’ appuntamento è molto meno neutro di quanto voglia far credere il capo del governo. C’è infatti per il Pd il serio pericolo di un sorpasso del Movimento 5 Stelle, sull’onda dell’euroscetticismo montante, il che costituirebbe una bruciante sconfitta per l’uomo che vorrebbe «cambiare verso» alla politica italiana. E soprattutto Forza Italia, in molti sondaggi, non è più il secondo partito italiano, superato appunto dai grillini: qui si vede quanto possa costare all’asse Renzi-Berlusconi, che ha sorretto finora la svolta riformista, la fuga dei voti azzurri verso l’area dell’astensionismo o della protesta.
Certamente l’assenza della guida carismatica, qualunque sia la soluzione che il Cavaliere troverà per sopperire al non poter guidare le sue liste, non autorizza pronostici ottimistici per Fi. Il lento spostamento del movimento berlusconiano verso l’area della protesta anti austerity ed euroscettica potrebbe avere riflessi sulla partita delle riforme e sullo stesso Italicum (che i centristi vorrebbero modificare in punti chiave come le soglie di sbarramento e le preferenze): ciò proprio perché il patto è stato raggiunto in un altro clima politico.
Certo, Renzi è riuscito a piantare alcuni paletti. Il voto di fiducia incassato su uno storico tabù come quello delle Province (che per ora non scompaiono del tutto, rileva l’opposizione) rappresenta un punto di forza. Ma è chiaro che il continuo gioco al rialzo ha dei limiti e su qualcosa il premier dovrà venire a patti. Intanto non esclude di accettare nel ddl di riforma costituzionale la proposta forzista di dare più forza al premier con il potere di revoca dei ministri, il che indirizzerebbe il sistema in senso semipresidenziale.
E poi sta aprendo un negoziato sulla politica europea, la grande imputata del momento.
Non a caso Stefano Fassina, per la minoranza democratica, ha presentato un ddl che si propone di cancellare il vincolo di bilancio appena introdotto in Costituzione: lo tradurrà in un emendamento alla riforma del titolo V della Costituzione.
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