Quando, sei mesi fa, il nostro giornale ha sottolineato l’esigenza di un segnale forte dei comaschi, l’obiettivo è stato raggiunto. Sì perché tutto si può dire ma non che il territorio non si sia fatto sentire e non abbia detto con chiarezza come la pensa sul riordino delle Province.
In un dibattito, comprensibilmente articolato e ricco di punti di vista diversi, due elementi sono stati messi nero su bianco. Condivisi e approvati dalla stragrande maggioranza dei Comuni. Primo, la provincia di Como non può venire smembrata, l’unità territoriale è un discrimine di fronte a ogni sorta di futura ipotesi di riaggregazione territoriale.
Secondo punto, il lago di Como, che è naturale fattore di coesione e identità, deve tornare ad essere parte di un solo ente e se è naturale immaginare una riunificazione di Como e Lecco il contrario si può pensare di una riorganizzazione che ricalchi quella della contestatissima riforma sanitaria. In questo caso infatti il Lario, che oggi ricade su due Province, finirebbe per fare riferimento a tre soggetti diversi: Insubria, Brianza e Montagna. Un pasticcio. Un non senso soprattutto se la logica della riforma è quella di organizzare i futuri enti di area vasta in modo che questi ultimi si adattino in modo più funzionale alle necessità del territorio rispetto alle vecchie Province.
Ci siamo fatti sentire ed il messaggio è stato chiaro ma la battaglia, che per una volta è stata davvero trasversale e ha raccolto anche quasi tutti gli esponenti locali del centrodestra nonostante l’imbarazzo di essere maggioranza a livello regionale, non è ancora vinta. Anzi, è proprio nelle prossime settimane che ci saranno gli sviluppi decisivi perché chiusa la fase del dibattito, ci sarà il voto finale del consiglio regionale.
E non può non destare preoccupazione il fatto che, nonostante sei mesi di messaggi chiari dal territorio, il Pirellone sia pronto a riprendere in mano la vicenda lì da dove era partito tutto, ovvero dalla bozza con gli otto cantoni e con lo smembramento della provincia di Como. Un trattamento, quest’ultimo, che nessuna altra provincia lombarda ha ricevuto.
La necessità di rispedirlo al mittente non è un fatto solo di tradizione storica, di mezzo ci sono i servizi ai cittadini e alle imprese così come il peso politico di un territorio che nell’ipotesi prospettata a livello regionale si troverebbe inevitabilmente a diventare un satellite per una parte di Varese e per l’altra di Sondrio e della Valtellina.
Il precedente in materia di assistenza sanitaria non induce certo all’ottimismo. Allora la riforma passò quasi in sordina, senza cioè un adeguato coinvolgimento delle istituzioni locali, e oggi a distanza di un anno si ha chiara la percezione dei tanti contro contenuti nel provvedimento.
L’ipotesi relativa alle nuove Province è un vero e proprio schiaffo di fronte al quale, c’è da augurarselo, i comaschi sapranno farsi sentire senza cadere nella trappola del “tanto per i cittadini non cambierà nulla”. Balle. Il governatore Maroni, su questo tema, ha assunto di volta in volta posizioni diverse. Ora è necessario che si faccia chiarezza una volta per tutte.
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