Il rapporto che i tedeschi hanno con Mario Draghi è simile a quello che caratterizza gli italiani verso i concittadini di Angela Merkel: niente amore, solo distanza e rispetto.
L’italiano al vertice della Banca centrale europea è visto come longa manus dei paesi debitori e quindi dell’Italia ed è la ragione per cui è guardato con sospetto. Ma la coerenza con cui si muove per salvare l’euro gli ha procurato nel tempo il rispetto degli avversari e la convinzione che le sue scelte, per quanto ai loro occhi sbagliate, siano abili. Il problema è che il presidente della Bce deve supplire all’inerzia della politica europea. Vi è tra Francoforte e Berlino un gioco delle parti. Angela Merkel fa fare a Mario Draghi quello che lei non può osare di annunciare pubblicamente. Il capo del governo tedesco è consapevole del fatto che senza le misure tampone della Banca centrale europea l’eurozona sarebbe saltata da un pezzo, con conseguenze disastrose anche per Berlino. Il 10 % dei voti conseguito dal partito antieuro, Alternative für Deutschland (AfD), alle recenti elezioni nel Land della Sassonia dimostrano che i movimenti antieuropeisti si stanno stabilizzando anche in Germania. L´Unione cristiano democratica di Angela Merkel ha di fatto per la prima volta dal dopoguerra una formazione politica di opposizione alla sua destra. Ed è una spina nel fianco. La parola d´ordine di un´ampia fetta dell´opinione pubblica in Germania si sintetizza così : niente soldi ai debitori. Il governo tedesco deve tenerne conto ed è qui il motivo delle tirate pubbliche del cancellier.
Nel consiglio direttivo della Bce l’altro ieri il presidente della Bundesbank ha votato contro il taglio dei tassi allo 0,05 e contro l’acquisto di titoli privati, cioè il cosiddetto credit easing, una maggiore facilitazione del credito. Un dissenso pesante che tuttavia il presidente Bce può sopportare perché sa che Berlino non lo boicotterà. Il soprannome di Supermario, Draghi lo deve agli americani, ma nel frattempo ha preso anche contorni europei. La forza dell’ex governatore della Banca d’Italia sta nella sua capacità di svolgere anche un ruolo politico che di norma i banchieri non sanno esercitare. Supplisce alla lentezza delle istituzioni europee ed ai dissensi che ne minano la compattezza. E solo un italiano poteva avere quella flessibilità che in questo momento storico il suo ruolo a Francoforte richiede. Non a caso la riunione del board della Bce di giovedì scorso era stata preparato dagli incontri e dai colloqui del suo presidente con i capi di governo di Francia, Germania e Italia . Ci fosse stato Axel Weber, l’ex capo della Bundesbank, all’Eurotower di Francoforte ne avremmo viste di tutti i colori, perché il teorico dell’ortodossia teutonica non avrebbe mai pronunciato le fatidiche parole che salvarono l’euro: faremo tutto il possibile e, credetemi, anche di più. A lui e a quelli come lui interessa la lotta all’inflazione e se nei trattati costitutivi della Bce non è previsto il caso di deflazione, allora non se ne fa nulla. Draghi ha scelto di muoversi e la sua formazione culturale di provenienza di certo l’ha aiutato. Ma gli stati le riforme le devono fare altrimenti non se ne esce con o senza Bce. Questo Draghi lo dice e lo ridice. Ed è il motivo per quale raccoglie rispetto anche in Germania. Potrebbe essere la sintesi di un prototipo ideale europeo: un prussiano di Roma.
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