La terra chiama chi la sa ascoltare. Dietro al ritorno all’agricoltura da parte delle nuove leve - fenomeno confermato anche nel territorio comasco - forse c’è anche l’apertura dei nostri ragazzi. E non solo verso la natura.
Conta la capacità di guardare avanti, attraverso una professione antica. Guardare avanti che non significa solo affidarsi alla tecnologia o a nuovi modelli business. Uno degli aspetti più suggestivi citati ieri nell’intensa Giornata dell’agricoltura a Expo dal presidente di Coldiretti Fortunato Trezzi è il riferimento alle coltivazioni a cui i giovani si dedicano. Un dato interessante e dal sapore simbolico.
Si mantiene un’armonia tra l’essere italiani (e quindi avere alle spalle una tradizione solida di prodotti e capacità di offrirli sul piatto) e lo scoprirsi cittadini del mondo.
Si è fieri di ciò che è stato trasmesso dalle generazioni precedenti e nello stesso tempo in grado di cogliere le nuove esigenze, come le nuove chance tracciate dall’incontro con persone provenienti da tanti Paesi diversi. Il confronto che sta accadendo a Expo, o meglio che l’Esposizione universale (con la sua grandiosità come con i suoi limiti) sta consentendo di vivere a chi lo vuole, è già nel sangue dei ragazzi di oggi. Che quando diventano agricoltori, o si dedicano al prodotto nostrano - magari riportandolo ancora di più alle sue origini - oppure si lanciano in sentieri inesplorati, almeno dalle nostre parti ma non in luoghi lontani.
Certo, si può dire che molti tornano alla terra, perché disillusi da altre formule, da altri modelli che hanno reso il lavoro un miraggio. E ciò vale anche per i meno giovani, visto il fenomeno crescente dei quarantenni o cinquantenni che scelgono (o si rifugiano in) campi o stalle. Eppure non è questo soltanto, per più di una ragione.
Perché non esistono formule magiche alternative alla passione, alla conoscenza, al sacrificio. Perché non solo la terra è bassa, per ricordare un detto contadino: lo è sempre stata.
Ma a sfinire oggi - o comunque in agguato - ci sono una serie di avversari che con la natura, con la terra non c’entrano niente. Ci sono gli adempimenti burocratici e i balzelli che rendono ancora più pesante una professione, a maggio ragione frutto di investimenti personali e sforzi quotidiani. Ci sono quelle guerre - come sul prezzo dei prodotti - scatenate dai giganti, in cui i piccoli sembrano destinati a soccombere.
Roba che in confronto alzarsi alle cinque di mattina, se non è una passeggiata, poco ci manca. E che rischia di scoraggiare più di ogni altra considerazione sulla fatica, quei giovani tentati dallo scegliere la strada dell’agricoltura.
Il fatto che ieri abbiano deciso di essere presenti, con il loro orgoglio, i loro sogni e le loro bandiere gialle, tanti ragazzi, è un segnale importante. Un segnale che il premier, nelle parole, non ha sottovalutato confermando la promessa di alleviare la tassazione per la categoria.
I fatti, sono ciò che manca ora, ciò che non può attendere.
Perché se l’Italia vuole credere in un ritorno al futuro, ovvero alla possibilità di proiettare in questo mondo globale ciò che ha costruito senza perdere identità, non può che nutrirsi di questo: atti concreti, come troppo spesso scarseggiano nei luoghi politici. E come invece scolpiscono la vita quotidiana degli agricoltori e degli allevatori.
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