Rubare il mestiere
restituire un futuro

Entrare al fianco a chi sta concludendo il suo percorso professionale. Assorbire i segreti della sua esperienza e farne tesoro.

Tutto questo è catturato in un’espressione antica: rubare il mestiere. Un modo di dire che oggi evoca anche un po’ di malinconia, perché i giovani hanno enormi difficoltà a entrare nel mercato del lavoro. Come chi ha i capelli bianchi stenta individuare con tranquillità il traguardo della pensione: a ogni governo, rimpasto o ritocchino, c’è sempre l’eventualità che questo venga spostato più in là.

Per questo motivo è importante il rilancio dell’operazione patto generazionale da parte di Unindustria Como. Lo scorso ottobre aveva optato per lo slogan “Mille giovani per mille aziende”. Cifra non casuale, perché si voleva dare un colpo netto, quasi azzerare la disoccupazione giovanile.

La Regione, con il governatore Roberto Maroni presente a Villa Erba, si era detta d’accordo e ora sul Lario si sta mettendo a fuoco la seconda tappa. Decisi a trasformare il progetto in fatti concreti.

Perché adesso? Perché qualche spiraglio - minuscolo, che si nutra di ordini o di nuovo atteggiamento psicologico - c’è. Perché in altri Paesi si stanno prendendo dei treni per arrivare alla destinazione: quella che mai chiameremmo ripresa, non dopo questi sette anni interminabili di crisi, quella che neanche è una stazione precisa, ma solo un movimento. Eppure muoversi, dopo tanta paralisi, è già un buon risultato.

Perché le imprese devono crescere e grazie al cielo - o meglio agli sforzi congiunti - Como ha saputo tenere saldi i rapporti con la formazione, per cui escono giovani preparati dalle nostre scuole.

Ma rubare il mestiere, è un’opera che si perfeziona solo lì in azienda. Prima avveniva in sordina, con il ragazzo che spiava, carpiva appunto i segreti del lavoratore più anziano. A volte in apparenza restio a “cederli”, ma in fondo felice perché sapeva che il tesoro accumulato - e senza prezzo - sarebbe stato tramandato.

Ora è anche una formula ufficiale, se si vuole. Perché viene sancita così. I giovani apprendisti che possono imparare e alleggerire l’uscita di chi ha dedicato una vita all’azienda. Possono rubare in pieno accordo un mestiere e vedersi restituire un futuro. Forse anche restituire entusiasmo a chi sta concludendo la sua prestazione in fabbrica e ha perso via via un po’ di motivazione.

Nonostante le difficoltà, ci sono imprenditori comaschi che sono pronti ad appoggiare questa operazione. In un momento in cui le assunzioni sono frenate dalle normative e dai carichi fiscali (e le cronache recenti ci dicono che anche chi da dipendente è diventato imprenditore l’ha tristemente sperimentato), rappresenterebbe una boccata d’ossigeno.

Certo, non risolve tutti i problemi. Oggi, ad esempio, l’allarme rosso della mobilità riguarda i quarantenni e cinquantenni, espulsi dal mercato del lavoro e in grande difficoltà nel trovare un nuovo impiego.

Ma da qualcosa bisogna pur cominciare. Ed è finita la stagione delle parole, delle pacche sulla schiena, del «Quanto siete bravi».

La Regione ha accolto le istanze di Como su più fronti, finora. Sul tema del lavoro, l’emergenza dei nostri tempi, deve dare una risposta ancora più concreta e veloce.

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