Cosa succede in città?, per dirla con Vasco Rossi. Succede che il sindaco-assessore al Bilancio, Mario Lucini, per un giorno ha potuto dismettere la collezione di abiti in gramaglie indossata ogni volta che si appropinqua alle esangue casse comunali, per calzare il cappello rosso del signor Bonaventura davanti all’assegno da un milione.
Non è caso che si parta dal passato più o meno remoto. Perché, come proclamava il memorabile Tognazzi nello strepitoso film Vogliamo i colonnelli, c’è sempre un grande passato nel nostro futuro. O viceversa. Il grande passato, per entrare
finalmente in tema. è l’ex albergo San Gottardo, un massiccio architettonico appoggiato a due passi dal lago e in sonno da trent’anni, che ottiene il passaporto per il futuro.
È stato risvegliato dopo un lungo sonno non da un bacio principesco ma dall’assegno altrettanto regale di Beatrice D’Este, la società che ha rilevato l’immobile e vuole farlo rivivere in guisa di residenze, uffici e negozi e forse ancora hotel. Riposava, il San Gottardo, dagli anni ’80, da quando Vasco Rossi cantava Cosa succede in città e il Corriere dei Piccoli aveva cessato, ma non da moltissimo, di pubblicare la striscia del Signor Bonaventura.
Il San Gottardo ammirato in azione nella parte dell’albergo è qualcosa che appartiene al patrimonio dell’ultima generazione che ricorda in bianco e nero. Tutti i comaschi arrivati dopo, l’hanno sempre visto lì inerte e inutilizzato da un trentennio. Roba da urlare per lo spreco, un urlo lungo trent’anni. In Norvegia ci farebbero un quadro e ci camperebbero sopra una vita. A Como invece silenzio. Giusto qualche mormorio. Tanto che ormai del San Gottardo si erano dimenticati quasi tutti. Per fortuna, quasi. Altrimenti il sonno dell’ex albergo sarebbe diventato come quello della Ticosa, che in fatto di baci da risveglio è un po’ più schizzinosa.
Con il ritorno alla vita dell’ex albergo va avanti un processo magari lento farraginoso e pasticciato, come a volte è questa amministrazione, di un centro città che cambia faccia.
L’ampliamento della zona riservata ai pedoni, da ieri estesa anche ai Portici Plinio, l’auspicata ripartenza del cantiere per il lungolago sono altri tasselli fondamentali per dare alla città una fisionomia adeguata alle sue prospettive e aspettative. Che restano legate a filo sempre più stretto all’accoglienza e al turismo, specie una volta che sarà ultimato anche il grande progetto su Villa Olmo, illustrato lunedì dal presidente della Fondazione Cariplo, Guzzetti, che, a proposito di assegni, ne ha staccato una da cinque milioni. Tutto si tiene insomma. Ma se per il signor Bonaventura, l’intascare il prezioso foglietto coincide con la fine dell’avventura, il discorso di Como e di coloro che l’amministrano deve andare in direzione contraria. L’avventura comincia adesso. È un viaggio che porta dalla Como di oggi a quella che sarà consegnata alle nuove generazioni, a cui sarebbe bello regalare un’idea di città un po’ meno indefinita di quella che è stata ed è ancora. Il recupero del San Gottardo, non fosse per il risveglio da un lungo sonno che a volte è stato anche quello della ragione (perché non si lascia un immobile di quel valore e in quella posizione inutilizzato per trent’anni), è un simbolo. Importante purché sia davvero l’emblema di un cambio di passo. E per scomodare ancora Vasco, perché si possa dire va bene, va bene, va bene così.
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