Editoriali
Giovedì 29 Maggio 2014
Sanità, il sospetto
che getta ombre
Sanità, il sospetto
che getta ombre
Maledetto il giorno in cui una sentenza ha finito, di fatto, per sdoganare la lottizzazione politica nella sanità.
Sono passati 12 anni da quando il Cencelli applicato agli ospedali pubblici e alle Asl ha abbandonato l’ombra di summit segreti e riservati per diventare una realtà accettata e digerita da tutti, pur se la stessa sentenza che la autorizzò, definì la lottizzazione un «danno per i candidati discriminati» e una «inequivocabile ingiustizia», in quanto «rappresenta una delle ipotesi più eclatanti di strumentalizzazione del potere per fini privati». Di più. Perché ciò che non ha detto la sentenza è che la lottizzazione finisce pure per minare la credibilità stessa dei manager pubblici chiamati a guidare gli ospedali e le Asl. Impossibile non farsi l’idea che una persona si ritrovi dov’è solo per la fedeltà a questo o a quel partito e non per le sue reali capacità. Un sospetto che getta un’ombra laddove non dovrebbero esserci nubi: i luoghi nei quali ci si prende cura di chi sta male.
Negli ultimi giorni quella fastidiosa macchia ha finito per ampliarsi, come se ci si trovasse improvvisamente al crepuscolo quando le ombre si allungano annunciando il buio. Tutta colpa di una mail inviata nel 2011 dal direttore generale dell’Asl di Mantova, Mauro Borrelli, ai colleghi di mezza Lombardia - compreso il direttore generale del Sant’Anna, Marco Onofri -per ricordare «le coordinate bancarie per il contributo volontario di euro 6mila da versare entro il 31/12/2011» sul conto della segreteria nazionale della Lega Nord. Con una preghiera: «Per cortesia avvisate i vostri direttori amministrativi, sociali e sanitari che il loro» contributo «è di 3mila euro».
Se foste in sala operatoria e doveste scoprire che il chirurgo che maneggia il bisturi che dovrà incidervi gira parte del proprio stipendio al capo del personale che lo ha assunto scegliendolo tra decine di altri candidati, non vi verrebbe un improvviso desiderio di fuggire a gambe levate tirandovi dietro le flebo? Non c’è nulla di più umano del dubbio. Alla fine si potrà anche scoprire che dietro a quella mascherina si nasconde il migliore chirurgo della storia della medicina, ma quell’obolo finirebbe comunque per instillare un sospetto sui veri motivi della sua assunzione, oscurando ingiustamente le reali capacità del chirurgo e l’affidabilità dell’ospedale che lo ha voluto.
Onofri, oggi, spiega che sì ha versato in alcuni casi un contributo volontario alla Lega, ma che non si tratta di un obbligo e nessuno viene «sollecitato, ricattato o minacciato di licenziamento» se non adempie. E ci mancherebbe altro. Il direttore del Sant’Anna ha anche spiegato che il suo è «un incarico tecnico e fiduciario», che «cerco di svolgere nel migliore dei modi» e che guarda «alle capacità di chi lavora con me e non alle casacche». Tutte rassicurazioni di cui non ci sarebbe bisogno, perché nessuno mette in discussione la serietà e le capacità del manager del Sant’Anna. Nessuno se non la politica stessa. L’effetto paradossale di questa storia è che proprio chi ha scelto i manager della sanità per i loro curriculum e la professionalità ha finito per dar adito a un dubbio tanto umano quanto ingiustificato. Un sospetto che allunga un’ombra dove non dovrebbe esserci.
Ombra che si fa oscurità, quando si legge ciò che il mittente della mail, il direttore dell’Asl di Mantova, ha detto a Repubblica: «Che male c’è? D’altronde i parlamentari non lasciano una parte del proprio stipendio al partito? Deve essere diverso solo per noi?». Anche sì.
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