Al cittadino comasco medio, vedere frotte di turisti camminare sul lungolago derelitto all’ombra della palizzata, rischiare la pelle scendendo dal marciapiede, attraversare lande desolate per salire su un battello, scuotere il capo o lanciare invettive poliglotte all’universo lariano, fa male dentro. Un dispiacere quasi fisico che rasenta l’ira quando è accompagnato da frasi del tipo: «Vuoi mettere con Lugano (o Lecco o Stresa o ecc ecc)?» E se urtano il comasco medio, figurarsi l’effetto che queste scene fanno a chi di turismo in questa città tenta di vivere, nonostante tutto.
Anche solo per questo motivo, apprendere che lo studio per disegnare l’aspetto definitivo del fronte-lago di Como c’è, non è un’entità astratta di cui raccontare ai nipoti nelle notti di tormenta ma è concreto e definitivo, è cosa buona, di quelle che fanno accendere la famosa luce in fondo al tunnel.
Certo, è un progetto, anzi uno studio, che disegna scenari e non li realizza, ma segna se non altro il superamento di una barriera psicologica. Quella che ci porta a pensare che il lungolago di Como sia eternamente destinato a rimanere quello che vediamo da cinque anni, che non se ne uscirà mai, e via di pessimismi di questo genere. Ora si deve riconoscere che qualcosa si sta muovendo e che negli ultimi mesi sono stati compiuti indubbi passi avanti. Grazie all’amministrazione comunale di Como e alla Regione Lombardia, parti attive di un dialogo che sembra superare i colori politici, e grazie ai privati che metteranno una pezza e risorse là dove è possibile.
Ma se da un lato è incoraggiante che si possano concretamente vedere le idee per il lungolago, che si ragioni non su ricorsi e avvocati ma su arditi ponti e mirabolanti arredi, su colpi d’occhio e piante in fiore, dall’altro si devono fare i conti con il proverbiale pragmatismo comasco. O pessimismo che dir si voglia, che non è uno stato d’animo astratto o preconcetto, ma un sentimento che si basa sulla realtà dei fatti. E la realtà dei fatti racconta che, negli ultimi anni, di rendering, progetti al computer, Como ne ha visti fin troppi. Quello della Ticosa, ad esempio, mirabolante esempio di città futura degno di figurare nella mostra di Villa Olmo. Un nuovo quartiere, palazzi multiformi affacciati su strade pedonali brulicanti di gente, mentre le auto transitano rare e beate sotto splendidi tunnel illuminati a giorno. Un bluff clamoroso, reso ancor più insopportabile dalla pompa che accompagnò l’abbattimento della vecchia fabbrica, con i fuochi d’artifizio in diretta tv, e dagli improvvidi manifesti che ad amianto giacente plaudevano alla «promessa mantenuta». Chissà che cosa avrebbero fatto se l’avessero mantenuta, la promessa.
Pensiamo anche alle immagini al computer del lungolago stesso, che si possono ancora ammirare là dov’erano più di cinque anni fa, vicino ai giardini, dove il cantiere ebbe inizio, dove il celeberrimo muro consumò la sua effimera esistenza e dove oggi una scalinata si ricongiunge al lago pezzo dopo pezzo, all’insaputa dei progettisti. O potremmo parlare della cittadella sanitaria nel vecchio Sant’Anna, del campus a San Martino. Grandi opere su carta e hard disk che chissà quando mai prenderanno forma concreta, se la prenderanno.
Di proclami i comaschi ne hanno ascoltati abbastanza e di progetti ne hanno visti anche di più. Como cambierà davvero passo quando dall’ennesimo rendering passerà al primo taglio del nastro.
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