Scuola, la prima regola è ragionare

La buona scuola o la cattiva scuola, a seconda di come la si pensi, è diventata legge. Sulla riforma più che i numeri colpiscono i toni. Si è liberi di pensare tutto a favore o contro questa riforma tenacemente voluta dal premier Renzi. Quello che più colpisce, nei fautori come nei detrattori, sono i toni. Non le parole, l’enfasi. Neppure le ragioni, ma l’accanimento, anzi la foga nel difendere o nell’attaccare una legge che, dopo tutto, rimane solo una legge. Invece si sono usati toni da tregenda, da guerra totale, da fine del mondo.

Tutto questo spirito belluino è giustificato? La risposta è no. Soprattutto nella e per la scuola.

La prima buona regola che un professore cerca di trasmettere ai suoi studenti è di ragionare. Qualcuno aggiungerebbe analizzare, valutare, soppesare, ponderare e così via. Soltanto dopo aver compiuto un percorso di comprensione si può esprimere un proprio giudizio. L’uso della ragione come metodo per affrontare qualunque argomento, problema e difficoltà è il più grande dono che si può ricevere dopo anni e anni passati sui banchi. Deve diventare talmente familiare che diventa una regola che si indossa ogni mattina con i vestiti.

Il secondo grande insegnamento che un docente dà al suo allievo è di esprimere le sue ragioni, le sue critiche e anche le sue disapprovazioni con educazione, dove il garbo non nuoce alla determinazione e la gentilezza non sminuisce la convinzione. Alla base di tutto c’è il rispetto per l’interlocutore.

Se avete assistito a qualunque dibattito nei talk-show politici o se vi è capitato di guardare qualsiasi servizio televisivo sulle innumerevoli manifestazioni di protesta contro la riforma vi chiederete di quale scuola stiamo parlando. Il fallimento dell’insegnamento sta proprio qui. Prima che nel le nozioni è nei toni; più che nelle argomentazioni è nelle esagitazioni. Possibile che chi deve trasmettere le conoscenze alle nuove generazioni non sia in grado di controllarsi e di esprimere le proprie opinioni con compostezza e adeguatezza di linguaggio?

C’è chi ha additato il pericolo della fine della scuola pubblica a vantaggio di quella privata; chi ha denunciato l’incombere del rischio del preside sceriffo pronto a giustiziare professori e alunni; chi, addirittura, ha lanciato appelli per salvare i bambini da siffatta tragedia imminente.

A tutti loro va ricordato che è solo una legge di riforma della scuola. Cambiano le regole. Non muore nessuno. Ci saranno elementi criticabili, modifiche non condivisibili; punti che lasciano dubbi. Va bene. Mettiamoci però d’accordo: il mondo non è finito, da domani si va avanti, i ragazzi attraversano gli stessi portoni ed entrano nelle stesse classi di prima. Chi voleva studiare continuerà a farlo. Chi preferiva oziare non smetterà. Lo stesso vale per i presidi e i professori: quelli bravi, preparati, coscienziosi, responsabili, appassionati del loro grande, meraviglioso lavoro proseguirà con l’entusiasmo di prima. E chi, viceversa, ha scelto questa professione come semplice ripiego e la svolge senza alcuna passione, beh, purtroppo per loro e per i loro allievi, andrà avanti a vivacchiare aspettando ogni volta lo stipendio di fine mese.

Anche chi ha osannato questa riforma come il toccasana dei problemi della scuola italiana e, addirittura, come la rivoluzione per preparare il futuro del Paese, dovrebbe abbassare i toni e concludere che è solo un tentativo di migliorare il sistema dell’istruzione.

Funzionerà? Fallirà? Lo scopriremo solo provando o vivendo come cantava Lucio Battisti. Se funzionerà sarà un bene per tutti. Se fallirà ci resterà la possibilità di cambiarla di nuovo, la scuola. Perché come diceva un grande della scienza si riesce a raggiungere un buon risultato solo “provando e riprovando”.

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