tre ministri diversi e tre posizioni diverse sulla gestione della scuola, parecchio fumo su proposte didattico-pedagogiche, qualche buon tentativo di fare ordine, ma ancora tanto caos sulla questione dei... caloriferi accesi in aula. Che sia questa la cosa più importante del nostro sistema educativo?
Evidentemente no, ma altrettanto evidentemente la questione del caldo accalora i ministri. Ogni delegato dal governo all’istruzione ha dovuto suo malgrado affrontare il tema, perché è di quelli che infiammano il bilancio delle scuole. Riscaldare gli edifici scolastici costerebbe un’esagerazione e sarebbe (di nuovo) arrivato il momento di fare economia. Bisogna risparmiare ancora, girare la rotellina del termosifone o, nelle scuole più nuove, schiacciare il bottoncino con il simbolino del ghiaccio. Sembra però che spegnere o ridurre l’immissione di caldo in aula non si possa o non basti. Un bel guaio.
Se non si può abbassare la temperatura - e quanti sono ancora insegnanti e studenti che a dicembre stanno in maniche corte e spalancano le finestre per non soffocare negli oltre 25 gradi che segna il termometro in aula - pare si debba stare a casa.
Serve la settimana corta, a scuola si va dal lunedì al venerdì, poi weekend libero.
Quasi niente di nuovo in questa proposta, visto che già molte scuole fanno cinque giorni di lezione, ma l’idea scatena il dibattito. Il preside del Berchet di Milano dice che la settimana corta è “molestia didattica” perché stanca i ragazzi, in altre città insegnanti e genitori di dividono sul sabato libero. Se si guarda all’Europa, anche gli altri Stati, lasciano le scuole abbastanza libere di scegliere, ma la maggior parte dei Paesi, dalla Francia, alla Germania, al Belgio e alla vicina Svizzera hanno da anni scelto, nella quasi totalità delle scuole, la settimana corta. Pare che stare a casa due giorni giovi; certo, non ai genitori che lavorano nel weekend. Ma lo snodo è proprio qui e il ministro Carozza pare averlo compreso. Se è infatti indubbio che i ragazzi a casa di sabato possono beneficiare del riposo, dovrebbe essere altrettanto ovvio pensare che quel riposo bisognerà pur riempirglielo. Di contenuti, non solo di sorveglianti. Invece, sembra che ci si accapigli solo sul significato economico del sabato a casa. Stabilito che il sabato a casa darebbe fiato ai bilanci, lo si può fare, ma lasciando le scuole aperte durante la settimana per riempire i pomeriggi di contenuti, anche non puramente scolastici, e magari cercare accordi per traghettare insegnanti disoccupati sui sabati degli studenti a casa senza genitori, magari cercando sponsor o chiedendo pochi contributi che già comunque le famiglie danno a babysitter o educatori privati.
Se i soldi non ci sono, e non ci sono, chissà se ci sono più idee? La Carozza dice che la scuola deve essere un luogo dove il ragazzo può andare anche di pomeriggio, sempre, ma ancora non si capisce bene come gestire questi pomeriggi, lezioni a parte. Sabato sì, sabato no, non dovrebbe essere solo questione di bilancio.
Ne è prova il fatto che i centri estivi sono presi d’assalto, alternativi alla baby sitter, e che quelli più interessanti vedono genitori disposti a spendere. Anche in alcuni oratori si dà un contributo. Educare e insegnare è un lavoro vero che va pagato, non solo sottopagato. Servono idee che tengano conto dei debiti, ma anche del senso del riempire il tempo. «Siamo uomini, dobbiamo fare le cose umanamente» diceva don Bosco. Forse si può cominiciare dal girare la rotella del calorifero, chissà che faccia bene al bilancio e alle idee.
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