Se al cinema Ferragni
va meglio di Tarantino

In un momento altamente cinefilo di “C’era una volta a Hollywood” (il nuovissimo film di Quentin Tarantino dedicato al mondo del cinema) Margot Robbie, nei panni di una solare Sharon Tate, entra in una libreria antiquaria per acquistare una prima edizione del romanzo “Tess dei d’Urbervilles” per regalarla a suo marito, il regista Roman Polanski. Ed è vero: fu l’attrice barbaramente trucidata dalla “Famiglia” di Charles Manson a donare quel volume al cineasta polacco che, dieci anni dopo, in omaggio a lei, girò e le dedicò il film tratto dal capolavoro di Thomas Hardy. Ma la chicca di questa scena è un’altra: entrando nel negozio, sul tavolo del rivenditore fa bella mostra di sé il Falcone Maltese, quell’oggetto “fatto della sostanza di cui son fatti i sogni” che è il motore centrale del grande noir di John Huston, “Il mistero del falco”. Chissà quanti se ne sono accorti in sala? E chissà quanti hanno colto tutte le citazioni, gli omaggi, le strizzate d’occhio con cui Quentin Tarantino ha farcito la sua pellicola? E nel suo caso si può proprio dire pellicola, perché il regista di “Pulp fiction” aborre il digitale e gira ancora in 35 se non addirittura in 70 millimetri.

Ecco, ma di tutto questo... che gliene frega agli spettatori di “Chiara Ferragni unposted”, il film sulla nota influencer presentato a Venezia e record di incassi nei soli tre giorni di programmazione nelle sale? Tanto record (1,6 milioni di incasso) da minacciare il maestro Tarantino?

Che ne sanno loro di Charles Manson, di Sharon Tate, del Falcone Maltese, di quello che è accaduto a Cielo Drive in quella terribile notte d’agosto del 1969? Ma che ne sanno di Tarantino, della sua cinefilia impareggiabile che unisce l’alto, il basso e anche l’infimo? Che ne sanno di “Pulp fiction”? Lo avranno mai visto tutto per intero? Oppure lo hanno apprezzato spezzettato su YouTube, grazie all’algoritmo che consiglia le scene cult, da “Ezechiele 25:17” in giù. Ed ecco che, all’improvviso, pure Quentin sembra decrepito, vecchio come quella Hollywood che si ostina a omaggiare per la gioia di un pubblico che mugola a ogni riferimento incrociato.

Nella sala a fianco, invece, ecco ben più numerosi quelli che il mondo lo vedono concentrato nelle “stories” di Instagram, che hanno abbandonato Facebook perché “ci stanno i vecchi” e perché Instagram è molto più figo, foto, non parole: pochi, essenziali, concetti. È vero, forse non avevano mai messo piede in un cinema prima che Chiara li chiamasse tutti a raccolta realizzando il suo record d’incassi nei soli tre giorni di proiezione. Ma è anche vero che loro sanno distinguere a occhio tutte le maison, che conoscono e mitizzano personaggi che “quelli dell’altra sala”, che cercano di capire che personaggio interpreta Luke Perry (“Io l’adoravo in Beverly Hills”...), manco sanno che esistono. Tipo la youtuber Giulia De Lellis, che in libreria spernacchia il gigante Stephen King. Ma al secondo posto, sotto a “Le corna stanno bene su tutto, ma io stavo meglio senza”, in quella classifica (Amazon), non c’è il nuovo thriller del maestro, bensì “1052 Assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza Mibac: teoria e test per la preselezione”. Riflettiamo anche su questo. Perché “i ragazzi della sala B”, quelli di “Unposted” (che, a occhio e croce, all’autore di “Django unchained” sarà piaciuto tantissimo), hanno capito in che direzione va il mondo.

Una direzione che a quelli della “sala A” certo non piace. Un mondo dove con due o tre (milioni) di foto e post autoreferenziali diventi la prima influencer del mondo, che sarà anche ridicolo, ma Tarantino non è nella top di Forbes, Chiara sì. Le frasette della De Lellis sono puerili? Forse: ma si rivolgono a un pubblico abituato a saltare tutto quello che è segnalato con un “tempo di lettura” superiore ai 60 secondi. “L’istituto” di Stephen King si snoda per 576 paginette. Tempo di lettura: due o tre settimane. Ma quando mai?

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