Secondo quello che è stato possibile ricostruire, facendo lo slalom tra cautele, titubanze e attacchi improvvisi di mutismo da parte delle forze dell'ordine, mercoledì scorso, poco dopo l'ora di cena, una ragazza di 19 anni sarebbe stata aggredita da uno sconosciuto che l'avrebbe trascinata, come nella peggiore delle sceneggiature noir, in uno scantinato di un condominio di via Italia Libera, per usarle violenza.
È un copione che comincia a stancare. Negli ultimi mesi si sono registrate diverse aggressioni di questo genere, con una frequenza allarmante. Non basta sapere che la maggior parte dei casi sono imputabili a una sola persona, un giovane che la polizia aveva arrestato poche settimane fa contestandogliene la gran parte. Ieri il prefetto ha voluto dire con forza che Como non è una città insicura, o che quantomeno non lo è più di altri capoluoghi di provincia lombardi che possono esserci affiancati per dimensioni, per tessuto sociale, economico. Non stiamo peggio di Varese, né di Lecco o di Cremona.
«Guai ad avere paura», ha detto ancora il prefetto, nel timore che la paura ci chiuda in casa, uccida la pur invisa "movida", spenga le luci sul capoluogo a tutto vantaggio, paradossalmente, di quelli che nel buio ci sguazzano.
È una tesi condivisibilissima, ma è anche vero che, da qualche mese (anno?) a questa parte, la cronaca fa registrare un incremento incomprensibile di episodi di violenza, e non soltanto sessuale. Abbiamo visto e raccontato di pestaggi, abbiamo visto e raccontato di risse, di rapine, addirittura di esercenti vittime dei loro stessi clienti (un bar di via Diaz, ricordate?) costretti a impugnare una pistola per difendersi.
Ogni episodio fa storia a se, è ovvio, ma è anche evidente che l'asticella si è alzata. I motivi? Non ci sono risposte, se non volendo pescare in una sociologia un po' scontata, oppure attingendo a certe argomentazioni razziali sulle quali non ci sono mai controprove certe. E tuttavia un dazio a questa esplosione di vitalità di una città di cui si diceva, fino a pochi anni fa, che di notte fosse morta, un dazio lo stiamo pagando. La parola che ricorre è movida, ma non è contro la movida che ci si vuole accanire. È contro uno delle sue facce, quella un po' inebetita dell'alcol a fiumi, servito dal tramonto alle soglie dell'alba in un contesto di totale deregulation dopo la cancellazione, da parte del Consiglio di Stato, dei vincoli imposti dalla amministrazione comunale. Non c'è prova, non ce n'è nessuna, per dire che quest'ultima violenza sessuale abbia qualcosa a che spartire con la movida, ma è anche vero che è proprio la movida ad avere riempito e a riempire la città di giovani e non più giovani il cui tasso di aggressività è esasperato da forme di abuso solo in apparenza innocenti, come appunto il "solito" alcol. Il prefetto promette più controlli, i genitori promettono più educazione, le forze dell'ordine assicurano che lo prenderanno. Di sicuro, nelle notti comasche, c'è in giro sempre qualcuno di troppo.
Stefano Ferrari
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