Povero Pil, gliene stanno combinando di tutti i colori. Il Prodotto interno lordo, che continua a dominare il dibattito pubblico e ritma l’esistenza di 500 milioni di europei, già è impopolare e screditato ma ora lo stanno sporcando: imbottito di droga e inquinato dai cascami del lavoro più antico del mondo. L’Europa, che è impegnata a misurare il diametro delle zucchine, ha imposto ad alcuni Paesi (fra i quali l’Italia ma non la Francia) di includere in questo contenitore attività illegali come il commercio di droga, la prostituzione e il contrabbando. Non sappiamo se la decisione, gonfiando la contabilità, nasconda un aiuto per sollevarci dalla recessione-deflazione o se invece certifichi il peso debordante della mala economia nella realtà italiana. In ogni caso la discussa scelta si presta all’ipotesi che ci si avvicini ad una sorta di legalizzazione dell’economia paludosa. Il Pil è l’insieme di beni e servizi prodotti sul territorio nazionale in un determinato periodo di tempo ed è il principale indicatore della ricchezza di un Paese. Del Pil, in sostanza, si può dire quel che Churchill diceva della democrazia: è il peggior sistema, eccetto tutti gli altri. Con l’euro la presenza di questo indicatore è diventata onnipresenza vincolata dai trattati internazionali: è la misura di base imponibile, che deriva cioè da attività tassate, per valutare la capacità di un Paese di ripagare il debito. Può renderci infelici, ma è quasi tutto: non è una variabile indipendente. Del resto già tempo assorbe la quota del sommerso, ovvero la produzione di beni legali con strumenti illegali, che sfuggono al fisco.
Proprio le nuove stime dell’economia sommersa consentirono al premier Craxi, nel 1987, di sostenere che avevamo sorpassato l’Inghilterra. L’illusione ottica è stata replicata in questi giorni quando l’Italia s’è scoperta più ricca di 60 miliardi, ma due terzi di quel bottino aggiuntivo – ha osservato l’economista Tito Boeri « derivano dall’ingresso dell’economia criminale nelle stime del Pil».
L’inclusione dell’altra economia pone problemi morali e può essere una fonte di errori statistici: il suo effetto distorsivo lede la trasparenza dei conti pubblici, come se fossimo in presenza di un corridore dopato. Oltre ad esporsi a qualche sberleffo, dato che la clausola dei nuovi parametri dice che ne fanno parte “attività vietate dalle leggi nazionali ma oggetto di uno scambio volontario”. Quello “scambio volontario” vuole essere coerente con l’ideologia del libero mercato, ma come si può ritenere libero, ossia un trasferimento di denaro senza alcuna coercizione, il mondo della droga, della mafia e della prostituzione quando la violenza rappresenta l’atto fondativo del crimine ed è il nesso intimo dell’azione delittuosa? E come la mettiamo con gli investimenti apparentemente legali che provengono dalla fonte delle cosche?
La storia del Pil, ancor prima di essere drogato, è piena di paradossi: il Nobel Paul Samuelson diceva che se avesse sposato la sua domestica avrebbe fatto abbassare il Pil americano, in quanto il lavoro della signora non sarebbe stato più retribuito perché svolto gratis. Ma ora, con i nuovi parametri e ragionando certo per assurdo da non economisti, vuoi vedere che per diventare più ricchi dovremo essere persino più malavitosi?
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