Nel marasma delle mille regole e codicilli che si assommano uno sull’altra e moltiplicati per due-tre-dieci volte quando dal livello nazionale si passa a quello locale, ci mancavano quelle approvate l’altro ieri in consiglio regionale e destinate a regolamentare la costruzione di edifici riservati al culto. La “ratio” del provvedimento è palese e al Pirellone, nella maggioranza di Maroni, quasi nessuno la nega: l’intento era quello di mettere un argine e rallentare il più possibile la costruzione di nuove moschee (come quella che si vorrebbe a Cantù anche se, in questo caso, la legge non si applica non essendo retroattiva),
varare insomma una norma il più possibile anti Islam. Detto così, la costituzionalità di una tale legge regionale potrebbe apparire molto più che dubbia sotto il profilo della libertà di culto, anche se all’ultimo l’aula ha corretto un passaggio che avrebbe finito per lasciar fuori dalle prescrizioni proprio l’Islam, confessione che non ha mai sottoscritto intese bilaterali con lo Stato italiano.
Tuttavia, come dice il vecchio adagio della gatta frettolosa che fece i gattini ciechi, sulla scelta della Regione sono piovute le critiche e sottolineature che certo al presidente Maroni non saranno piaciute. Per prima infatti quella della Curia meneghina secondo la quale sarebbe meglio che «alla costruzione di questi strumenti legislativi si arrivi in modo meno frammentario e precipitoso, per non produrre effetti che vadano al di là delle intenzioni di chi li propone».
In attesa dei dettagli, la legge regionale in sostanza vincola le autorizzazioni alla costruzione di nuovi edifici riservati al culto al rispetto di una serie di prescrizioni e passaggi burocratici che non definire veri e propri ostacoli è arduo. Ad esempio fra i requisiti richiesti vi è l’installazione di telecamere esterne collegate alla Questura, la presenza di strade di collegamento e di parcheggi adiacenti di metratura pari almeno al doppio dell’edificio da costruire, la preventiva valutazione di impatto ambientale che i Comuni dovranno richiedere.
In tempi in cui si cerca, da Roma in giù, di ridurre gli adempimenti, di semplificare la vita del cittadino e nel contempo di alleviare il peso delle carte e delle autorizzazioni sui Comuni, nel caso di edifici religiosi si va in controtendenza. E, come ricorda la Curia milanese, questi nuovi iter legislativi non si applicano solo alle moschee in fieri (e non potrebbe essere altrimenti), ma a tutte le costruzioni religiose, chiese cattoliche per prime. Da qui la preoccupazione che arriva dal mondo religioso per una complicazione di cui, per di più in tempi in cui la minaccia della secolarizzazione della società si fa strada da sola, non se ne sentiva il bisogno anche se motivata da una esigenza di “sicurezza” che però la nuova legge è tutto da dimostrare riesca a contrastare. Se poi, come qualcuno paventa, le prescrizioni vincolanti dovessero estendersi anche a luoghi adiacenti e coevi ai templi, il quadro diventa ancora più fosco: se, ad esempio, anche per un oratorio (come per un centro islamico) fossero necessarie telecamere, parcheggi immensi, strade comode e una montagna di documenti, con tutto quanto comporta in termini di ulteriori costi e tempi di realizzazione, c’è da capire come il provvedimento licenziato dal consiglio regionale è stato accolto nelle parrocchie. Per non parlare dei Comuni: anche qui più carte, altre commissioni, valutazioni complicate e maggiori spese per i cittadini.
Senza dimenticare l’Expo il quale teme il clima che si prepara per le comitive dai Paesi musulmani o chi - in campo cattolico - ricorda quanto sia importante il dialogo tra le fedi anche e soprattutto per isolare i fondamentalisti.
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