Soccorso per i profughi e protezione per coloro che sono ancora minacciati dalla violenza. L’appello di Papa Francesco, oltre che accorato, è preciso, concreto.
Indica le cose da fare subito per intervenire su un dramma, quello dei cristiani dell’Iraq, che si dipana da molti anni ma che raggiunge il culmine in queste settimane, dopo che i miliziani dell’Isis hanno varcato il confine della Siria e si sono incuneati tra il Kurdistan e la regione centrale controllata dal governo di Baghdad, occupando proprio l’area di Mosul, dove si erano concentrati i residui cristiani del Paese.
Purtroppo all’appello del Papa ha per ora reagito solo la Francia che, in una dichiarazione del ministro degli Esteri Fabius e di quello degli Interni Cazeneuve, si è detta disponibile a facilitare le procedure per l’accoglienza dei profughi sul proprio territorio. Per il resto è silenzio, o quasi. C’è la convocazione (solo adesso?) del Consiglio di sicurezza dell’Onu, e qualche amletica riflessione degli Usa sull’opportunità di mandare un po’ di aerei a bombardare i miliziani.
Tanta inerzia e tanto smarrimento non devono stupire, nemmeno ora che le truppe del califfato proclamato a Mosul stanno occupando anche le città della piana di Ninive dove circa centomila cristiani si erano rifugiati, costringendoli all’ennesima fuga disperata. Nemmeno dopo che gli uomini del “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi hanno cacciato i turcomanni, decimato gli yazidi (seguaci di un’antica religione legato allo zoroastrismo), ordinato l’infibulazione di massa delle donne, devastato tutti i luoghi di culto cristiani di Mosul, fatto saltare moschee e monumenti dell’islam da loro considerato non abbastanza puro, intimorito il sommario esercito iracheno.
Paesi come gli Usa, la Francia, la Gran Bretagna, l’Arabia Saudita, la Russia, per non parlare di Paesi “interni” al Medio Oriente come Egitto, Iran o Israele, assistono impotenti al tracollo di tutte le loro politiche, tese in modi diversi non a pacificare o sviluppare la regione, ma solo a piegarla di volta in volta agli interessi di questo o di quello. Veti incrociati, intromissioni più o meno scoperte e vere guerre si sono infine rivoltate contro i loro autori, scaricandosi sulla pelle delle popolazioni locali. Con particolare violenza, com’è ovvio in società dove i legami di clan e di tribù sono decisivi per la sopravvivenza, sulle minoranze meno solide e influenti. Basta fare il conto sulle dita per verificare che non c’è stato un intervento militare che non abbia peggiorato la situazione.
Già avvicinati dal lungo confine e dal comune tormento dell’Isis, Siria e Iraq sono affratellati ora dalla tragedia dei cristiani. La Siria di Assad, infatti, aveva accolto dopo il 2003, la cacciata di Saddam Hussein e le violenze che ne erano seguite, oltre 750 mila profughi dell’Iraq, tra i quali moltissimi cristiani. Da quando la Siria è sprofondata nella guerra civile, nel 2011, quasi 300 mila siriani sono passati in Iraq: di nuovo, tra loro, molti cristiani, spaventati appunto dall’avanzata degli islamisti nel loro Paese. Ora gli uni e gli altri vagano in una terra di nessuno dominata dalle milizie di Al Baghdadi senza che alcuno riesca a dar loro rifugio. E senza che alcuno riesca a spiegare come possa succedere che, a tredici anni di stanza dalla Torri Gemelle, lo spettro di Osama Bin Laden e i suoi progetti da incubo siano oggi più vivi che mai.
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