Senza Berlusconi
tutti divisi come prima

L’asse Letta-Alfano gioca d’anticipo. Il tentativo è quello di disinnescare il potenziale esplosivo contenuto nell’ascesa di Matteo Renzi alla segreteria del Pd, che tutti danno per sicura.

Come? Proponendo al sindaco rottamatore un «patto di programma» in cui siano contenute alcune delle misure economiche che egli caldeggia da mesi, ma anche il pacchetto delle riforme e la nuova legge elettorale che stanno a cuore al Quirinale.

Su questo punto il premier ha sfumato i toni: ha annunciato una verifica subito dopo le primarie
democratiche. Il suo vice invece ha parlato più chiaro, augurandosi che non debba essere l’esecutivo a fare le spese del congresso del Pd: «vedremo - ha detto Alfano - se Renzi vuole davvero far cadere il governo».

L’impressione è che a palazzo Chigi regni ancora l’incertezza. Innanzitutto perché la decadenza di Berlusconi ha segnato l’ingresso in un territorio sconosciuto: non si sa bene quali siano le sue vere intenzioni politiche e nemmeno il ruolo che giocherà Forza Italia (che per il momento fa sudare l’uscita dei suoi sottosegretari dal governo). Il secondo motivo è l’intrinseca fragilità della nuova maggioranza, sulla quale i berlusconiani hanno chiesto al capo dello Stato un nuovo passaggio parlamentare con l’apertura formale di una crisi di governo.

Alfano sostiene che la durata dell’esecutivo dipende solo dal Nuovo centrodestra: un modo per circoscrivere l’impatto di Renzi. Ma quella del leader Ncd rischia di rivelarsi una pistola scarica: sull’altro piatto della bilancia c’è sempre il possibile ricorso alle urne in primavera, un’eventualità che coglierebbe impreparato il partito nato da una costola del berlusconismo.

Dunque si tratta di scavalcare la finestra elettorale che si chiude a fine febbraio. Ma Renzi sottoscriverà un accordo di questo tipo? E in cambio di che cosa? Forse della garanzia di quelle riforme economiche e istituzionali che finora nessuno è riuscito a realizzare.

Basti pensare che al Senato si è assistito all’ennesimo rinvio della discussione sulla riforma elettorale nonostante l’imminenza della pronuncia della Consulta che potrebbe giudicare incostituzionali alcune parti del Porcellum. Che cosa accadrebbe in tal caso? I ministri Franceschini e Quagliariello sono saliti al Colle per avviare una verifica sul complesso delle riforme, ma nessuno si nasconde la difficoltà del compito. Anche perché Forza Italia è pronta a dare battaglia: se una maggioranza ristretta riuscisse a condurre in porto la riforma dello Stato che aspetta da tanti anni, si tratterebbe di una nuova e forse definitiva sconfitta del Cavaliere.

Ma Letta deve fare i conti anche con le proprie retrovie. Si tratta infatti di vedere se le primarie consegneranno al Pd un vincitore incontrastato. Su tutto aleggia il rischio di una «scissione silenziosa». Per ora, insomma, l’uscita di scena di Berlusconi non ha cambiato molto il quadro di frammentazione che è all’origine del male italiano.

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