È il giaguaro non il gattopardo ma cambia poco. Dalla Sicilia riparte il ballo per cui tutto deve cambiare perché nulla cambi. E il vecchio giaguaro che lo sventurato Bersani voleva smacchiare, a 81 anni, ruggisce più che mai sotto la criniera onusta di tinture. Il vero vincitore di un’elezione in cui potrebbe anche non vincere nessuno, come capiterà probabilmente, anche alle politiche di primavera, è lui, Silvio Berlusconi, più “rieccolo” di un manipolo di Fanfani visti da Montanelli.
Trionfatore per due ragioni: il successo di Musumeci, tutt’altro che scontato, sul candidato 5Stelle Cancelleri e l’acquisizione sul campo, anche di fronte agli interlocutori europei, di unico argine anti populismo in Italia che poi i Salvini e Meloni che si tiene dentro la coalizione ci penserà lui a mettere al passo.
Vincitore anche per una terza ragione: quella capacità di ricomporre il fronte del centrodestra di fronte a un Renzi che ha invece contribuito più di ogni altro (anche dei D’Alema e dei Bersani e compagnia brancaleonica cantante) a sfasciare quello del centrosinistra. Un’altra impresa da campione di tutte le arabe fenici. Grazie a chi? Anche ai suoi adorabili nemici. Ma sì, perfino, i grillini che si erano concentrati sul leader Pd al punto da sfidarlo con Di Maio salvo poi ritrarre il guanto. Una sceneggiata preparata ad arte? O la consapevolezza di aver sbagliato obiettivo? Chissà. I veri benefattori del fu Cavaliere, però come sempre, sono quelli dell’incredibile armada del centrosinistra, in testa il capitan Fracassa, Matteo Renzi a cui forse sta venendo meno l’idea di aggrapparsi a Silvio per tentare di evitare il naufragio. Come sempre l’apparente più sprovveduto in politica sì è dimostrato il più furbo. Sarà un orbo nel mondo dei ciechi, ma intanto adesso le carte tornerà a darle lui. Del resto, che Alfano non avesse il quid lo avevo detto in tempi non sospetti. E ora rischia di non avere più neppure il quorum nella sua Sicilia.
D’altra parte, mentre Berlusconi andava a farsi fare il tagliando per dimagrire i tirarsi a lucido in vista della grande rentrée, Renzi ne combinava più di Carlo in Francia. Dopo la suonata nel referendum si cui aveva investito tutto il suo capitale politico, anziché fare un passo quantomeno di lato, si è fatto reincoronare alla guida del Pd senza capire che lo scettro in mano era quello di un re travicello. Vero che era ammalato e sarebbe scomparso un anno dopo, ma Alcide De Gasperi nel 1953, dopo aver visto sfumare per un pugno di voti il frutto della sua riforma elettorale che gli avversari chiamarono “legge truffa”, salutò la compagnia e la Dc potè prosperare per quasi altri 40 anni.
Matteo invece non ha capito l’antifona, che pure gli arrivata in tutte le elezioni prima di questa sconfitta annunciata in Sicilia. Gli italiani non lo vogliono più o forse non lo vogliono così. Gli farebbe bene qualche ripetizione dallo smagliante giaguaro che ha sempre capito come trovare la ripartenza giusta e farsi perdonare dagli elettori l’imperdonabile.
Certo, anche gli sbrindellati compagni a sinistra di Renzi dovrebbero fare due ragionamenti. Ma da quelle parti e non da oggi, prevale sempre la logica dello scorpione che uccide la rana che poteva salvarlo dall’annegamento. Anche questa però è una sconfitta di chi, nel centrosinistra, voleva cambiare tutto e ha finito per non cambiare nulla. Lezione purtroppo sempre attuale. E non solo nella Sicilia di Tomasi di Lampedusa.
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