Allarme rosso, cari miei. La Pallacanestro Cantù sprofonda nel baratro dell’instabilità, del futuro nebuloso, del doman in cui non v’è certezza. Stenti a crederlo, quando vedi la faccia da funerale di Anna Cremascoli che, seduta al tavolo delle conferenze del Pianella, dove fino a ieri si celebravano successi e grandi emozioni, annuncia: «Siamo troppi soli. O qualcuno ci aiuta, o chiudiamo baracca».
Stenti a crederlo perché sono parole ed espressioni così lontane da tutto quello che abbiamo visto e sentito in queste stanze nei mesi, negli anni recenti. Ci aveva abituato, Anna Cremascoli, a un altro copione. Cantù era salita sul carro dei fortunati, quelli con una società con un progetto, delle prospettive, una disponibilità finanziaria e una ambizione smisurata.
Ed ecco così il ritorno al vertice, le ambizioni addirittura di scudetto, la bellissima avventura in Eurolega, un trofeo vinto dopo anni. E gli stendardi appesi al Pianella che non erano più santini per ricordare un irripetibile passato, ma una collezione in bacheca da aggiornare. Soprattutto ci eravamo abituati allo sguardo convinto, al sorriso grintoso di Lady Anna, fatti di ambizioni, sfide, certezze, proclami. Un ottovolante entusiasmante e adrenalinico. Ma il Luna Park, a quanto pare, ora rischia di spegnersi.
Cosa è successo? Il cambio di direzione rispetto solo a due settimane fa, alla presentazione di Sacripanti, è choccante. Cantù rischia davvero di tornare nella polvere? Anna Cremascoli ieri ha rovesciato dalla borsetta sul tavolo tutto quello che aveva dentro da mesi. Più precisamente, da quella che lei ritiene la prima vera grande amarezza della sua avventura: l’addio della Bennet come sponsor. Tutto sembrava roseo, tutto, sull’onda dei successi, sembrava gestibile attraverso la semplice stretta di mano. Invece no. Il dietrofront inatteso di Bennet, un anno fa, ha fatto sbattere il muso alla famiglia Cremascoli contro la dura realtà del territorio. Uguale dal calcio al basket, tanto per citare le due realtà sportive più grosse.
Dalla tenera, strenua difesa di icone locali come Beretta, per il Como, e Corrado, per Cantù; sino alla grandeur dei businessman Polti (Cantù) e Preziosi (Como), il ritornello, cantato su strofe diverse e ritmi differenti, è sempre stato lo stesso: qui non gliene frega niente a nessuno. Della squadra, di un progetto vincente, di una sfida sportiva ad alto livello. Cantù come il Como, Como come Cantù. Con storie ben diverse, ma sempre a lottare con un territorio che, tuttalpiù, ti garantisce passione se vinci e abbonamenti (neanche tanti).
Ma difficilmente ti supporta economicamente. A Como otto pazzi (in senso buono) imprenditori locali si sono buttati nel calcio, e già ripetono quello che diceva Beretta vent'anni fa: «Fosse per l’aiuto che abbiamo avuto, potremmo molare anche adesso».
Poi ci si mette la crisi economica ad ammorbare l’aria. E il quadro è fatto. Ora vedremo come finirà la sfida di Cantù. Nella quale i Cremascoli si sentono stati traditi, specialmente sulla questione del palazzetto, gorgo infinito che ha inghiottito ormai cause ed effetti in una voragine senza fine. Ma che forse adesso, di fronte al moltiplicarsi delle difficoltà, si sono stancati davvero di essere soli al traino. Sì, c’è la sensazione che dalla famiglia sia arrivata una riflessione . Con una domanda: ne vale la pena? Anna avrebbe voglia di dire «sì». Ma non è escluso che tra qualche mese sia costretta a dire «no».
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