Due domande con risposte ovvie e, al momento, purtroppo, inconciliabili. Può una città turistica tirare giù le saracinesche, in estate, alle 10 di sera? No. Può un cittadino vedersi negato il sacrosanti diritto alla quiete notturna. No. E allora? Il caso dei tavolini di piazza De Gasperi contiene entrambi i quesiti destinati a viaggiare paralleli senza trovare convergenze. A meno che non ci pensi la politica a individuare la quadra. Perché il compito di tutelare le esigenze di cittadini, siano essi semplici residenti, baristi o clienti di pubblici esercizi spetterebbe a chi è stato delegato dai cittadini a questo scopo. Nel rispetto della legge, certo. Che nel caso, e per fortuna, tutela le persone disturbate dall’eccesso di rumore che si produce nelle sere d’estate in viale Geno, una delle mete preferite dai comaschi e non, per una passeggiata, un gelato e un drink.
Tutta questa gente si ritrova penalizzata, assieme ai titolari dei pubblici esercizi, dalle soglie di rumore fissate dalle normative che cancellano gelati e drink e consentono tutt’al più la possibilità di fare due passi magari in punta di piedi per rimanere nei limiti consentiti.
Chiaro che, in caso contrario, sarebbero penalizzati coloro che al crepuscolo, magari dopo una dura giornata di lavoro vogliono riposare o guardare la televisione a casa senza essere costretti a munirsi di cuffie, o “sparare” il volume a manetta, oppure a ricorrere alla pagina 777 del televideo con i sottotitoli per cogliere i dialoghi. È un caso in cui hanno ragione tutti e torto nessuno. Si potrebbe sbrogliare la faccenda con la decisione di privilegiare il diritto più collettivo dell’economia su quello dell’individuo. Ma non sarebbe corretto e poi c’è la legge che taglia la testa al toro dei tavolini. D’altro canto se piazza De Gasperi come è capitato ad altre sue “colleghe” cittadine, dopo lo sfratto delle auto, fosse rimasta deserta e triste sarebbero saltati su in tanti ad accusare l’amministrazione di penalizzare i cittadini soprattutto quelli su quattro ruote. E a proposito di rumori. Siamo sicuri che le auto e soprattutto i mezzi pesanti che transitano di giorno nelle vie di scorrimento di Como producano meno decibel dei tavolini? E nel caso, si chiuderebbe la città al traffico?
Come si vede le spigolature del problema sono molteplici. Si vanno a innescare nel dibattito aperto sulla città turistica o città meta di gitanti sporadici di comuni limitrofi meno fortunati dal punto di vista paesaggistico. E sulle ricadute non positive che si scaricano sugli abitanti di Como.
Splendori e miserie della città turistica su cui l’amministrazione comunale deve essere all’altezza della sfida: cercare di conciliare le esigenze di tutti nell’alveo della legalità. Mica facile ma necessario se non si vuol far riapparire lo spettro della città dormitorio che si aggirava dalle nostre parti fino a non molti anni fa. Scacciato poi dall’indotto innescato dal riverbero di Clooney che ha fatto scoprire a tanti, anche a chi l’aveva davanti tutti i giorni, la bellezza di Como e del suo lago. Che forse valeva la pena di mettere a reddito.
L’unico suggerimento, anche per evitare il rischio di un contagio che manderebbe a letto l’intera città con le galline è di informarsi su come gli altri centri turistici siano riusciti a salvare la capra dei turismo e i cavoli della tranquillità.
In ogni caso anche questa vicenda dimostra come, da queste parti, in materia non si sia molto allontanati dall’anno zero.
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