Se si vuole una valutazione concreta e oggettiva di quanto (poco) Como abbia contato negli ultimi decenni dal livello regionale in su, basta guardare a strade e mezzi di trasporto. A quello che si definisce pomposamente il sistema della mobilità e delle infrastrutture. Ad eccezione della terza corsia sulla A9 (ma al giorno d’oggi chi non ce l’ha ancora la terza corsia?), il sistema è quello di quarant’anni fa. E all’orizzonte c’è davvero pochissimo.
Eppure l’elenco delle opere necessarie è sterminato, pari forse a quello delle opere promesse. Ma se facciamo il conto dei cantieri terminati negli ultimi dieci anni, l’elenco si
riduce alla scandalosa galleria di Valsolda, completata con decenni di ritardo e inaugurata tra i giustificati fischi dei residenti.
Si dirà: adesso arriva la Pedemontana. Corbezzoli. Da anni i cantieri stanno devastando interi paesi per un’opera allo stato inutile e che, scopriamo, sarà pure a pagamento. La nuova strada, infatti, consentirà al modico prezzo di sessanta centesimi (milleduecento lire) di andare da Grandate agli splendidi prati che circondano il carcere del Bassone. Certo, una volta completata la bretella tra via Tentorio e la Canturina, sarà anche più facile attraversare Camerlata, ma le prospettive dell’opera erano ben altre. Dal Bassone doveva partire il tunnel per Albese, scartato perché troppo costoso. E in attesa che qualcuno disegni il percorso alternativo e che qualcun altro trovi i soldi per realizzarlo, e a patto che entrambi ci riescano chissà quando, i fondi pubblici spesi per il primo lotto è come se fossero finiti nel cestino. Mentre a Varese, detto per inciso, la stessa Pedemontana ha almeno consentito di realizzare un sistema tangenziale che a qualcosa serve. Segno che da quelle parti la lobby locale verde padano ha funzionato assai meglio di qua.
E il famoso collegamento Varese-Como-Bergamo? Ciao Peppo. E’ stato spostato a sud utilizzando la superstrada dei Giovi, quella che al mattino è una coda continua già adesso, figuriamoci dopo.
Per non parlare dell’autostrada, la cui terza corsia l’abbiamo finanziata noi con i folli pedaggi che paghiamo per arrivare a Milano. E la statale Regina? La variante della Tremezzina la vedranno, forse, i nipoti dei nostri pronipoti se i tempi saranno quelli delle gallerie di Dongo, Menaggio e Valsolda. Cioè i soliti.
Nell’attesa, restiamo in coda dietro a camper olandesi e torpedoni teutonici da Colonno (nomen omen) a Cadenabbia, fermi lungo la Pasqualepaoli, al semaforo di Villaguardia, sulla salita di Lipomo o tra Lentate (nomen omen bis) e Varedo. L’alternativa, dicono, è quella di viaggiare con i mezzi pubblici. Già. Prendiamo i treni: le ex Nord hanno gli stessi tempi di percorrenza del Ventennio e sono spesso in ritardo. Le ex Fs idem, su carrozze dal clima ultracontinentale (torride d’estate e gelide d’inverno), su cui guasti e inconvenienti accadono in maniera inversamente proporzionale alla presenza di qualcuno con cui potersi lamentare, in stazioni dimenticate e deserte, sporche e inefficienti. L’unica innovazione degli ultimi anni che funziona sono i treni Tilo, quelli voluti dagli svizzeri per togliere le nostre auto dalle loro strade.
Sul lago ci sarebbe l’alternativa della navigazione, che ha ormai abbandonato la vocazione di servizio per abbracciare quella dello sfruttamento del turista. Niente più veloci aliscafi ma catastrofici catamarani generatori di onde anomale che ci son voluti anni e valanghe di soldi per modificarli.
E sì che per decenni, quando ancora i soldi per le opere pubbliche saltavano fuori, i colori (politici) in voga in Comune e in Provincia a Como erano gli stessi di coloro che decidevano a Milano e Roma. Eppure solo da noi la Pedemontana finisce in un prato e solo da noi un tunnel è stato depennato perché costa troppo. Meno dei grattacieli della Regione, si vede.
Non che attorno a noi siano rose e fiori, sia chiaro. Oggi in Valtellina apre un pezzo di strada che finisce dritto in centro a Morbegno, la Val Pola è stata inaugurata l’altro giorno dopo l’alluvione del 1987 e sappiamo quanto hanno penato i lecchesi per la statale 36 e l’attraversamento. Opere sofferte, spesso fatte male (pensiamo alla galleria Monte Piazzo che scivola a valle), ma che almeno sono state finite. Da noi, nemmeno progettate.
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