Secondo i pissi pissi, la strategia del Pd di Como per le elezioni era questa: “l’importante è portare Maurizio Traglio al ballottaggio contro Mario Landriscina, perché tanto il candidato del centrodestra farà il pieno di voti al primo turno senza guadagnarne molti altri dopo, mentre il nostro potrà giovarsi di gran parte del consenso della sinistra di Bruno Magatti e Celeste Grossi che si mobiliterà per evitare di riconsegnare la città alla destra”. Ragionamento che ci poteva stare ma si è rivelato errato. Per una serie di motivi. Il primo è la sottovalutazione del “peso” della lista di Alessandro Rapinese che, come vedremo, è stata determinante. Il secondo i conti fatti senza l’oste in casa d’altri. E chi possa essere l’oste non è difficile capirlo. Adesso è facile sostenere che se Traglio fosse andato da Bruno Magatti con il cappello in mano le cose sarebbero potute andare diversamente. Non c’è la prova contraria. Ma c’è la certezza di un elettorato che ha disertato in massa i seggi anche perché disgustato dai giochetti di bottega. Peraltro se tutti i voti di Bruno Magatti (2.069) e Celeste Grossi (965) fossero confluiti su Traglio, sommandosi a quelli ottenuti dall’imprenditore nel primo turno (9.138), il totale sarebbe stato di 12.173. Il candidato sindaco sconfitto si è fermato a 11.720, non lontano tutto sommato. Però non è bastato e non sarebbe bastato. Perché Mario Landriscina ha dimostrato che le previsioni del Pd erano sbagliate. Non solo ha riportato alle urne gli 11.814 elettori del primo turno ma ne ha conquistati altri 1.231. Questo calcolo, naturalmente, è al netto di eventuali defezioni di cittadini che avevano o votato due domeniche fa e non l’altro ieri perché in vacanza, e dei rari consensi transitati da un fronte all’altro tra il primo e il secondo turno.
A smentire ancora la strategia del Pd comasco, però, c’è l’evidenza dei numeri che rivela come il medico del centrodestra avrebbe vinto anche senza i 1.231 consensi in più ottenuti nel secondo turno. E anche che, se pure Traglio avesse portato a casa tutti i voti ottenuti da Magatti e Grossi, non sarebbe comunque riuscito a superare Landriscina perché in questo caso i 1.231 voti si sarebbero rivelati determinanti. E da dove arrivano quei voti? Si può escludere senza tema di smentita l’elettorato di sinistra che o ha optato per Traglio o è andato al mare. E anche, se non con qualche eccezione, quello del candidato dei 5Stelle Fabio Aleotti. Qualcosa sarà giunto da chi, l’11 giugno aveva optato per Francesco Scopelliti (480 consensi). Anche se, da quelle parti non si è avvertita quella mobilitazione partita invece da sinistra verso Traglio. Insomma, alla fine, si può presumere che i voti decisivi siano stati una parte di quelli che nel primo turno erano confluiti sulla lista di Alessandro Rapinese, sottovalutata dal Pd e non solo, verrebbe da dire, anche alla luce dei sondaggi fatti circolare e commissionati da entrambi gli schieramenti di centrodestra e centrosinistra.
La strategia del Pd, o meglio gli errori nell’interpretare l’elettorato, impresa va detto non facile visto quanto hanno detto o a volte urlato le urne, ha contribuito al successo della destra. A Como ma non solo.
A Cantù, il candidato della lista civica nonché vice sindaco uscente, Francesco Pavesi, ha sfiorato una clamorosa rimonta su quello del centrodestra, il leghista Edgardo Arosio che al primo turno si era fermato a un’incollatura dall’elezione diretta. Su Pavesi sono confluiti gran parte dei voti che erano andati al candidato del Pd, Alberto Novati. Gli esponenti locali del partito di Renzi, pur senza sancire un apparentamento formale, si sono prodigati. Ma non è stato sufficiente. Per quanto riguarda Erba, invece, si può affermare a ragion veduta che il Pd è stato determinante per l’elezione dal sindaco Veronica Airoldi, sostenuta da Lega e Forza Italia. Decisivi per il successo con una manciata di voti dell’ex vice sindaco Claudio Ghislanzoni, anch’egli di area centrodestra, sono infatti stati i consensi della sezione affine al candidato del Pd, Enrico Ghioni che per contrastare il primo cittadino uscente Marcela Tili, artefice della candidatura del suo vice, avrebbe fatto confluire i consensi sull’avversaria. Strategie a sinistra, vittorie a destra.
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