E così, la nostra sonda su Marte ha fatto una brutta fine. Si è schiantata a trecento chilometri all’ora e adesso rimarrà lì, per sempre, informe ammasso di ferraglie sul pianeta più letterario, più affascinante, più fantascientifico di tutti. La luna, che tra l’altro non è un pianeta, è tutta un’altra cosa. Questa rimanda alla malinconia, agli amori infranti, alle sere dei dì di festa, alla solitudine degli uomini, alle occasioni perse, agli attimi fuggenti. Quello, invece, al futuro, al limite, alla sfida, alle colonne d’Ercole planetarie, al sogno. A loro. Agli altri. Alla vita oltre noi.
E proprio per questo si è tanto favoleggiato sulla missione europea che, nonostante il botto, ha comunque raccolto miriadi di dati tecnici e scientifici, ma dalla quale tutti noi somari della materia ci aspettavamo una sensazione, un’immagine, un segnale. Un segno dell’altro. Certo, è una cosa che fa sorridere e si presta a un florilegio di battute da caserma – “quando ci invadono, digli di non passare dalla tangenziale che si imbottigliano…”, “guarda che il bar di Guerre stellari il lunedì è chiuso…”, “qui l’unico marziano è l’allenatore dell’Inter…”- ma che rappresenta una riflessione che a chiunque di noi sarà venuta almeno una volta in mente. E se lì fuori ci fosse davvero qualcuno? E se non fossimo soli? Che rivoluzione sarebbe, che trauma, che sconvolgimento per tutte le nostre patetiche certezze, i nostri steccati, i nostri paradigmi. Una roba da diventare matti, da andare fuori di testa, uno choc talmente clamoroso che riuscirebbe (forse) a distogliere i giornali dall’attenzione sul referendum, sul completo di Agnese Renzi alla cena con Obama e sul Grande fratello vip.
Beh, davvero nulla sarebbe più come prima. E che direbbero gli scienziati? E gli astronauti? E i filosofi? E gli scrittori di fantascienza? E i registi di disaster movie? E soprattutto, il Papa? Che cambierebbe, come si combinerebbe questa rivoluzione del pensiero e delle gerarchie dentro il nostro ordine costituito solo da noi, noi stessi e noi stessi medesimi? E poi, domanda delle domande, chi sarebbero, quanti sarebbero, come sarebbero?
A tutto questo orgasmo di interrogativi speravamo (ma forse temevamo e, in fondo, è un sollievo che sia andata a finire così, in modo da poter restare accoccolati nelle nostre flaccide sicurezze) che ci desse risposta la sfortunata sonda Schiaparelli. Come sono. Giganteschi, minuscoli, invisibili, con tre occhi, la coda da iguana, le zampe palmate, il collo allungabile, le dita a V di Mork che veniva da Ork. E poi, miti e poetici come ET o feroci e spietati come Alien?
Beh, è un grande caos, una grande confusione nella quale non si capisce nulla, dove il primo ubriaco che passa dice la sua e poi tutto finisce in caciara al bar della Pesa a sghignazzare dopo Milan-Juve, ma che comunque, a pensarci bene, regala almeno una solida certezza. Ammesso e non concesso che esistano e che vogliano essere nostri amici o vogliano inglobarci nei loro baccelli, beh, non avranno proprio nulla di nuovo da dirci. Dai, chi vogliamo prendere in giro? Questi qui saranno esattamente come noi, antenne e proboscidi o meno. Presenteranno la solita litania di tipi umani (o umanoidi?) che costituiscono dai secoli dei secoli la pietra angolare di questa grande pièce, di questa grande commedia.
Ci sarà di certo il laido, il buffone, il cialtrone, il marpione, il traffichino, l’abatino, il dottor saputo, l’azzeccagarbugli, quello che lo dice ma non lo pensa, quello che lo pensa ma non lo dice, il carrierista, il battutista, il trasformista, il tronista, l’androide dalle tre facce e dalle mille personalità, il ladro di polli e quello di capitali, quello che non vale niente ma fa il dirigente su Marte perché è amico degli amici e quello che è un genio ma lo hanno spedito alla Fortezza Bastiani di Plutone perché ha pestato i calli a quelli là, quello che lui sì che la sa lunga, quello che lui sì che saprebbe fare ma i poteri forti non glielo permettono, quello che lo Stato dov’è, lo Stato non c’è, lo Stato cos’è. E, c’è da giurarci, pure lì ci sarebbe il sindacalista forforoso, il distaccato pulcioso, il delegato neghittoso che indice gli scioperi delle navicelle spaziali (chissà perché?) sempre di venerdì, il cuor contento, il soldatino ottuso, la casalinga di Voghera, il giocatore di pallamaglio e poi, via via, esteti, stiliti, intellettuali da salotto, virago delle pari opportunità, Bel-Ami, amanti indegni, Bovary di Pedrinate, vajasse, papponi, ominicchi, sopracciò e quaquaraquà…
Potete scommetterci i mille milioni di euro che non avete. Il giorno che dovessimo scoprire forme di vita in chissà quale remoto meandro della via Lattea o della galassia di Andromeda o dello Scrigno dei Gioielli, stupitevi del clangore della notizia, ma non del suo contenuto. Anche lì ci saranno esseri - con le branchie o con le chele, poco importa - ai quali il buon Dio (che cinica saggezza…) avrà regalato l’illusione di spazio e tempo, il precario uso della ragione, l’arroganza della supremazia sul creato, ma nessun senso di finalità e giustizia e quindi anche loro - come noi - trascorreranno le loro ore (nel caso vivessero quanto una farfalla) o i loro secoli (nel caso fossero longevi come un albero monumentale) a mangiare e bere e ingurgitare e ruttare e sputacchiare ed evacuare e abboffarsi e mestare e brigare e malignare con nequizie e maldicenze per poi rimettere giù il crapone nel piatto e sforchettare e strafogare ed evacuare un’altra volta ancora, del tutto ignari delle persone che gli vogliono bene e dei perfetti meccanismi che governano la volta del cielo.
Anche loro - come noi - andranno avanti, ottusi e bovini, a strisciare sulla superficie di Orione o di Tannhäuser, avanti e indietro, senza niente capire e senza niente dare agli altri, fino a quando il loro patto con Dio sarà concluso, la loro chance sprecata e il loro nome cancellato per sempre dal libro della vita. Poveri marziani.
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