Ciò che pareva irrealizzabile è alfine accaduto. Con la firma di lunedì, il Paese che, nell’immaginario comune, è considerato come l’inventore e il più stretto custode del segreto bancario, è capitolato e inizierà a scambiare informazioni in materia fiscale con l’Italia. Si tratta di una firma indubbiamente storica ed interpretabile, per molti versi, come la rivincita della politica statale sulla globalizzazione.
Facciamo un passo indietro. Uno degli effetti principali della globalizzazione è stato quello del progressivo spostamento del reddito (soprattutto societario) verso i Paesi a bassa fiscalità. Ciò ha prodotto una riduzione delle entrate fiscali dei Paesi economicamente più sviluppati.
A questo spostamento non è corrisposto, per altro verso, una riduzione delle prestazioni pubbliche rese da tali Stati, soprattutto nei settori sanitario e pensionistico.
L’acuirsi di questo squilibrio nei bilanci pubblici statali è stato affrontato dagli Stati nazionali attraverso un’intensificazione della lotta all’evasione fiscale, interna e internazionale. E la lotta all’evasione fiscale internazionale, per essere efficace, richiede necessariamente l’abolizione del segreto bancario. Con il pungolo degli Stati Uniti, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) ha iniziato qualche anno fa un’attività di “persuasione” nei confronti dei c.d. Paradisi fiscali, di cui l’accordo con la Svizzera rappresenta uno dei risultati più importanti.
All’entrata in vigore dell’accordo, la Svizzera inizierà a trasmettere le informazioni fiscali relative ai contribuenti italiani. Nello specifico, l’accordo sarà efficace solo dopo le ratifiche dei Parlamenti dei due Paesi e, per la Svizzera, anche di un referendum. Riguarderà le informazioni e i dati fiscali dei contribuenti italiani esistenti alla data di lunedì 23 febbraio e sarà uno scambio su richiesta. Le informazioni non saranno trasmesse automaticamente, bensì su richiesta delle rispettive autorità tributarie. Ciò significa che il Fisco italiano entrerà in possesso delle informazioni fiscali svizzere solo dopo la richiesta da parte dell’amministrazione finanziaria e limitatamente ai nomi della richiesta.
Le conseguenze sono evidenti: da lunedì la Svizzera non è più un rifugio sicuro per gli evasori. Chi ha già trasferito i capitali in altri Paradisi fiscali non collaborativi, dovrà sperare che, nonostante la pressione internazionale, si conservino come tali.
Coloro che, diversamente, sono rimasti in attesa degli eventi, hanno ancora la possibilità di far pace col Fisco attraverso la voluntary disclosure.
In termini generali, la firma di questo Trattato (e degli altri in materia di scambio di informazioni) segnano la profonda trasformazione del rapporto fra Stati nazionali e diritto internazionale prodotta dalla globalizzazione economica. Precisamente, fino quando i confini fisici rappresentavano barriere effettive anche per il movimento di capitali, il tributo era un affare puramente statale, che non ammetteva alcun tipo d’ingerenza esterna. Il crollo delle barriere ha prodotto una sensibilizzazione del diritto internazionale per il Fisco, che è divenuto un “affare comune”, dell’Ue, dell’Ocse e, presto, dell’Onu. Tutti noi sentiamo come ingiusto che i grandi gruppi multinazionali paghino meno imposte rispetto ai loro dipendenti. La risposta isolata degli Stati è una risposta inefficace, perché il diritto d’invenzione napoleonica si ferma al confine con la Svizzera. Ora non più. O meglio, da lunedì si lavora per superare questa situazione e generare le condizioni per una maggiore equità internazionale, anche in materia fiscale. nn
© RIPRODUZIONE RISERVATA