Tagliamo i fondi
ma salviamo i partiti

La grave recessione in corso rischia di inficiare la credibilità del dibattito sul finanziamento pubblico dei partiti che rappresenta un tema “sensibile” per chiunque abbia a cuore le sorti della democrazia.

La diffusa ostilità nei confronti del sostegno pubblico a favore dei partiti rischia, infatti, di essere alimentata dal clima sociale del paese il quale non è più disposto ad accettare gli infiniti privilegi che si annidano nell’universo della politica. Pur comprendendo le ragioni di tale ostilità, occorre riflettere sulle conseguenze che

discendono dall’abolizione del finanziamento pubblico sulle quali perfino prestigiosi commentatori paiono subire inaspettati obnubilamenti. La verità è che l’attacco al finanziamento pubblico costituisce un pretesto che serve surrettiziamente ad occultare l’attacco al sistema dei partiti: detto fuori dai denti, c’è in atto un chiaro disegno di destrutturazione dell’attuale impianto costituzionale. Il vero nodo gordiano della politica italiana, infatti, è costituito dai costi e dai privilegi della “nomenclatura” ma va detto, senza infingimenti, che risulta pericoloso utilizzare questo argomento per delegittimare la funzione dei partiti all’interno del sistema democratico. L’abolizione del finanziamento pubblico costituisce un patente inganno perchè la sua vera finalità non è affatto quella di bonificare la politica italiana dagli eccessi e dai privilegi del ceto politico. C’è dell’altro. C’è l’obiettivo, di chiara matrice populista, di realizzare un sistema politico che, relegando ai margini la funzione dei partiti, sia in grado di conferire al “leader carismatico” la centralità confiscata ai partiti. Si ponga mente a coloro che ne caldeggiano fervidamente la soppressione: siano essi di destra o di sinistra, non fanno mistero della loro simpatia verso il presidenzialismo di cui si finirebbe per importare i difetti peggiori: il bagno di folla, lo strapotere delle lobby, la desertificazione della dialettica politica, la definitiva consacrazione del servilismo eretto a sistema.

Non vi è dubbio che la riduzione dei costi abnormi della politica rappresenti una necessità ineludibile ma, va detto con forza, è necessario preservare la funzione vitale che hanno i partiti quali “cinghie di trasmissione” tra società civile e istituzioni. La politica ha il compito precipuo di selezionare uomini e competenze da porre al servizio delle istituzioni ma non andrebbe mai dimenticato che questo compito può essere adempiuto solo dai partiti. L’abolizione “tout court” del finanziamento pubblico costituirebbe, invero, un colpo mortale alla democrazia rappresentativa che, di contro, andrebbe rafforzata nei corpi intermedi (partiti compresi) attraverso un quadro di regole volto ad evitare le degenerazioni del passato: ad esempio, imponendo mandati non ripetibili, vietando il cumulo di incarichi, obbligando la certificazione dei bilanci, imponendo ai partiti le primarie come metodo di selezione dei candidati.

Le disfunzioni dei partiti non si possono eliminare eliminando i partiti. Sarebbe delittuoso per la democrazia assecondare questa deriva populista di chi vuole solo cavalcare la rabbia del cittadino fingendo di comprenderla.

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