Non ci sarà l’ennesimo aumento delle tasse locali sulla casa. La circostanza non era scontata – anche se quasi tutti i parametri sono già stati portati al massimo negli ultimi due anni – ma il quadro dei conti del Comune di Como resta drammatico. Affari della giunta e della maggioranza? No, affari nostri perché all’orizzonte, in assenza di politiche diverse a livello centrale, nei prossimi anni dovremo aspettarci una sforbiciata a molti dei servizi garantiti ai cittadini. La giunta, solo nel bilancio del 2015 che verrà discusso tra qualche settimana in consiglio comunale, ha dovuto ridurre la spesa di circa 4 milioni cercando di limitare i danni. Ma sino a quando la baracca potrà stare in piedi e i salti mortali del ragioniere comunale eviteranno pesanti riduzioni anche nel settore dei servizi sociali ed educativi? Il ministro Padoan, giusto qualche giorno fa, ha sottolineato che Regioni ed enti locali possono fare di più qualificando meglio la spesa e riducendo gli sprechi. Sarà anche così ma non da queste parti. Sì, certo, si può razionalizzare la gestione di qualche settore (è ragionevole immaginare ad esempio un solo punto cottura per le mense scolastiche anziché gli attuali 17) ma non si potrà fare molto di più a meno di non immaginare l’esternalizzazione di alcuni pezzi dell’amministrazione e dei relativi servizi.Qualche dato: il Comune di Como, ma lo stesso ragionamento vale anche per Cantù e quasi tutti i centri della provincia, solo nel 2011 riceveva dallo Stato circa 20 milioni alla voce trasferimenti. Bene, nel giro di quattro anni, è cambiato tutto perché non solo non arriva più un euro ma dobbiamo versare a Roma, per il 2015, un contributo al fondo di solidarietà pari a 11,5 milioni. Si tratta di più trenta milioni in meno nelle casse di Palazzo Cernezzi che, tanto per stare nel concreto, si sono tradotti di anno in anno in meno risorse a disposizione del governo cittadino in ogni sua articolazione.
I trasferimenti statali sono stati ormai azzerati, e la perequazione, cioè gli aiuti ai territori più poveri dal punto di vista fiscale, è garantita dai Comuni più ricchi. Ogni sindaco versa al fondo di solidarietà comunale il 38,23% dell’Imu generata dall’aliquota standard, e in questo modo si costruisce un bacino che a livello nazionale vale più o meno 4,7 miliardi di euro. Tutto giusto? Solo in apparenza. Può essere condivisibile il principio che i Comuni più ricchi - e i nostri generalmente lo sono rispetto a quelli molisani e calabresi – aiutino quelli più poveri. Ma non è accettabile che tra città vicine e molto simili quanto a ricchezza generata e composizione sociale, ci siano situazioni enormemente diverse. Prendiamo il caso di Como al confronto con Varese e Busto Arsizio. Bene, lì dove il contributo di solidarietà dei comaschi sarà di 11,5 nel 2015, quello di Varese è stato di 3,5 lo scorso anno e quello di Busto di 1,8 milioni. Tutto ciò non ha senso e determina uno stato di sconforto negli amministratori locali ma soprattutto nei cittadini. Questi ultimi hanno ormai digerito la necessità di fare pesanti sacrifici, dando sempre di più per ricevere sempre di meno, ma hanno il sacrosanto desiderio di comprendere la logica che sovrintende alla finanza locale. Perché spremere i comaschi tre volte più dei varesini? Anche il sindaco Mario Lucini, a cui tocca mettere la faccia quando si tratta di battere cassa, non riesce a darsi una risposta convincente ed evidentemente nemmeno i parlamentari locali lo hanno aiutato a capire. Insomma, ci tocca pagare senza fare domande, figurarsi pretendere di sapere dove finiscono i nostri soldi.
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