Petrolini diceva che bisogna prendere i soldi dove in genere è più facile trovarli, cioè a casa dei poveri: «Hanno poco ma sono in tanti». Scrittore, attore, saltimbanco, uno che amava ridere e far ridere gli altri (al medico che sul letto di morte gli disse di trovarlo un po’ meglio rispose «meno male, dottò... Così moro guarito»), Petrolini scriveva ovviamente in un’epoca lontanissima. Erano i primi anni del Novecento e l’Italia era tutt’altro posto, i poveri di più, gli ultra ricchi chissà (forse più o meno gli stessi, forse qualcuno in più). Novant’anni dopo la musica è la stessa, anche se sul concetto di povero è il caso di intendersi. Di sicuro, però, Stato e Comuni sempre lì vanno a bussare. A casa di chi a fine mese mette insieme uno stipendio fisso. I dati di cui diamo conto nelle cronache, frutto di una rielaborazione de Il Sole 24 ore, ci dicono che la città di Como è la quarta tra i capoluoghi di provincia italiani quanto a incidenza Irpef e che oggi, su un imponibile medio di 22.782 euro, essa pesa per 5.502. Il rialzo medio, nazionale - a fronte di redditi che in generale arrancano - è del 9,3% in sette anni, addirittura - per quanto riguarda noi - del 2.2% in un solo anno, tra il 2013 e il 2014. Non c’è molto da dire, se non rischiando di tornare sui soliti argomenti. Giusto un paio di cose, molto “comasche”.
La prima: la macchina della amministrazione ha costi molto elevati. In Comune lavorano più di ottocento dipendenti, impegnati in una azienda, sia pure pubblica, che non ha eguali, almeno quanto a dimensioni. In Comune a Cantù - una città che conta poco meno della metà degli abitanti del capoluogo - i dipendenti non raggiungono quota duecento.
La seconda: i servizi costano uno sproposito, e gestirli diventa sempre più una scommessa. Basti pensare a scuole, mense e asili, a cominciare dai nidi, i più costosi in assoluto. Ne parliamo da tanti anni - tutti, a partire da sindaci e assessori che, a differenza di molti politici romani privi del benché minimo senso della realtà, vivono i luoghi che li circondano esattamente come li viviamo noi, che non ricopriamo alcuna carica pubblica. Hanno figli che frequentano i nidi, provengono spesso dal settore privato, sanno cosa significhi sbarcare il lunario. In altre parole vien da pensare che “governare” - sì, governare anche una cittadina di provincia relativamente piccola come la nostra - sia una autentica impresa, roba da chiedersi perché mai uno dovrebbe dedicarcisi.
Diversamente non si capirebbe perché, dopo tanti anni di crisi, il numero dei dipendenti comunali sia sempre più o meno lo stesso, il costo dei servizi sia sempre più o meno in aumento, e che in definitiva nessuno - neppure qui, tra “politici” che ci sono vicini anche fisicamente - sia in grado di dare una mano alle famiglie. Oggi un padre che guadagni 2300 euro al mese è un uomo fortunato. Ma con due figli a carico non sarà mai in grado di garantire loro un bel niente.
Forse un corso di basket o uno di nuoto (sui 150 euro), senz’altro non entrambi. Di sicuro non lo studio di uno strumento, di sicuro non un viaggio, di sicuro non troppi libri.
Vengono prima l’Imu, il bollo dell’auto, la tassa sui rifiuti, la retta della mensa, il canone tv, l’Irpef. A fine mese non rimane mai niente. È vero: scriviamo sempre le stesse cose. Ma nessuno ascolta. Cent’anni dopo ha ancora ragione Petrolini.
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